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La vita di Eugenio Corti, autore de "Il cavallo rosso" (I)

Eugenio Corti, autore de "Il cavallo rosso", ha vissuto una vita intensa, ricca di avventure, che ha catturato nelle sue opere. Come tutti i grandi scrittori, le sue riflessioni sulla vita quotidiana hanno fatto sì che la sua opera rientrasse nel canone dei libri classici per eccellenza.

Gerardo Ferrara-7 novembre 2024-Tempo di lettura: 6 minuti

Pochi mesi fa, a febbraio 2024, è venuta a mancare, a quasi 97 anni, Wanda Corti, moglie di Eugenio, autore di romanzi come il celebre “Il cavallo rosso”.

In più occasioni avevo avuto l’onore di parlare con la signora Corti, la quale mi aveva risposto al telefono dopo che avevo semplicemente cercato il suo nome sull’elenco. Mi ero presentato, le avevo confidato, da autore di romanzi e da storico, la mia ammirazione per la vita e per le opere di suo marito, le avevo regalato i miei libri e lei mi aveva non solo incoraggiato ad andare avanti, ma mi aveva addirittura ritelefonato dopo una mia conferenza, tenuta qualche anno fa, proprio su Eugenio Corti. 

E ora eccomi qui a scrivere di qualcuno che così tanto ha influito sulla mia vita e sulla mia vocazione di uomo e di narratore. Eugenio Corti, infatti, è per me un padre, un maestro, un modello per affrontare le sue stesse battaglie, quelle contro le delusioni che ha dovuto patire e contro le sfide che si è trovato a fronteggiare. 

Prima parte: i primi anni e la guerra

Desidero iniziare a parlare della sua vita, che è una vera e propria epopea (un’epopea, dal greco ἐποποιΐα, composto da ἔπος, epos e ποιέω, poieo, che significa fare, è un componimento poetico che narra di gesta eroiche), attraverso quello che è considerato il suo testamento spirituale, una lettera scritta proprio alla moglie Vanda nel 1993 e che rimarca quanto fosse forte il loro sodalizio umano e spirituale:

"Vanda mia:

Parli di te stessa come di una “che non ha dato frutti”: ma non è vero, la realtà non è questa. L’allusione alla mancanza di figli della carne è evidente; anch’io un tempo li desideravo, ma noi due non eravamo chiamati a questo: la nostra unione, nei disegni di Dio, non aveva questo fine; anzi se avessimo avuto dei figli, il disegno che Dio aveva su di noi, non si sarebbe potuto realizzare.

I nostri veri figli sono i nostri libri, che non vengono solo da me, ma anche da te. Essi si reggono interiormente — come sai — su due colonne: la verità e la bellezza, e senza di te al mio fianco e sotto i miei occhi tutti i giorni, la loro bellezza non ci sarebbe stata, o sarebbe stata enormemente monca, cioè appunto, in conclusione, non ci sarebbe stata.

Perciò la tua vita non è stata qualcosa di spento, ma al contrario, di luminoso: è stata una straordinaria avventura di donna. Perché quei libri — anche questo tu lo sai — sono riusciti in pieno, e hanno un valore straordinario. Non tutti sono in grado di capirlo oggi, dato che hanno contro la falsa cultura dominante. Ma neppure di questo dobbiamo dispiacerci: anzi io prego sempre Dio che — mentre sono in vita — non mi conceda la soddisfazione del grande successo, perché a tale riguardo sono debole, e cederei con facilità alla tentazione dell’orgoglio.

Se noi continueremo a cercare il Regno di Dio, tutto ciò che ci occorre, ci sarà dato con sufficiente abbondanza, com’è accaduto finora. 

Dalla scuola alla guerra

Eugenio Corti nasce a Besana in Brianza il 21 gennaio 1921, primo di dieci figli. È figlio di un industriale del settore tessile che si è fatto da sé iniziando a lavorare come garzone ed è riuscito poi ad acquistare la fabbrica in cui lavorava, la ditta Nava di Besana, ampliandola e aprendo nuove fabbriche.

Studia a Milano, presso il collegio San Carlo, dove frequenta il ginnasio e il liceo classico. I genitori avevano stabilito di fargli ottenere il diploma di ragioniere perché potesse divenire un valido aiuto in ditta, ma il rettore del collegio, monsignor Cattaneo, si oppone energicamente, intuendo che per il giovane Eugenio la strada del liceo classico è la più adatta.

Nel 1940 gli studi s’interrompono improvvisamente ed Eugenio non può sostenere gli esami di maturità, che saranno superati d’ufficio: l’Italia entra in guerra. Il giovane Corti può iscriversi comunque all’Università Cattolica, riuscendo a frequentare solamente il primo anno di Giurisprudenza, dopodiché viene chiamato alle armi.

L’addestramento sottufficiale inizia nel come 1941 e dura un anno, alla fine del quale Eugenio Corti diviene sottotenente. Nel frattempo, inoltra la richiesta di essere destinato al fronte russo: “Avevo chiesto di essere destinato a quel fronte per farmi un’idea di prima mano dei risultati del gigantesco tentativo di costruire un mondo nuovo, completamente svincolato da Dio, anzi, contro Dio, operato dai comunisti. Volevo assolutamente conoscere la realtà del comunismo; per questo pregavo Dio di non farmi perdere quell’esperienza, che ritenevo sarebbe stata per me fondamentale: in questo non sbagliavo”.

Soggiorno in Russia

Corti, alla fine, la spunta e parte per la Russia. “Ho raggiunto il fronte agli inizi del giugno 1942. Per un mese il fronte non si è mosso, poi c’è stata la nostra grande avanzata dal Donetz al Don, cui hanno fatto seguito i mesi di stasi. Il 16 dicembre ha avuto inizio l’offensiva russa sul Don e il 19 la nostra ritirata: quella sera stessa il mio corpo d’armata si è trovato chiuso in una sacca. Ci era arrivato l’ordine di lasciare il Don senza che fosse stato distribuito il carburante per gli automezzi; abbiamo, perciò, dovuto abbandonare tutto il materiale, senza poter salvare un solo cannone, né le tende e neppure i viveri”.

Questi sono i giorni più drammatici della vita di Corti: i ventotto giorni della ritirata, magistralmente narrati ne I più non ritornano. La notte di Natale del 1942 fa un voto a Maria: se fosse stato risparmiato, avrebbe dedicato la sua vita a lavorare per il Regno di Dio, a farsi egli stesso strumento di quel Regno con le doti che gli erano state concesse: “se mi fossi salvato, avrei spesa tutta la mia vita in funzione di quel versetto del Padre nostro che recita: Venga il tuo Regno”.

Solo la sera del 16 gennaio pochi superstiti riescono a uscire dall’accerchiamento russo. Dell’Armata Italiana In Russia (ARMIR), che contava 229.000 uomini, i morti in battaglia e in prigionia saranno complessivamente 74.800; su circa 55.000 soldati catturati, ne torneranno soltanto 10.000. Per quanto riguarda poi il settore di Corti, di circa 30.000 italiani nel Trentacinquesimo corpo d’armata accerchiati sul Don, usciranno dalla sacca solamente in 4.000, di cui 3.000 congelati o gravemente feriti. 

Ritorno a casa

Dopo il ritorno a casa e la difficile ripresa, nel luglio 1943 rientra in caserma a Bolzano, per poi essere trasferito a Nettunia, da cui, dopo l’8 settembre, si dirige verso il sud a piedi, in compagnia dell’amico Antonio Moroni, per riunirsi all’esercito regolare. Queste vicende, e tutte quelle riguardanti la guerra di liberazione, sono narrate ne Gli ultimi soldati del re. Dopo un periodo nei campi di riordinamento, Corti entra volontario nei reparti nati per affiancare gli Alleati nella liberazione dell’Italia, per salvare la patria:

“La patria non deve essere confusa con i monumenti dei paesi o con il libro di storia: è l’eredita lasciataci dai padri, da nostro padre. Sono le persone simili a noi: i nostri familiari, gli amici, i vicini, quelli che ragionano come noi; è la casa in cui abitiamo (che sempre, quando si è lontani, torna alla mente), sono le cose belle che abbiamo intorno. La patria è il nostro modo di vivere, diverso da quello di tutti gli altri popoli”.

Pace: opere prime

Ritornato alla vita borghese, il giovane Corti ricomincia, per accontentare i suoi, a studiare svogliatamente e si laurea in giurisprudenza nel 1947. Ormai, l’orrore vissuto e l’incertezza per il domani hanno cambiato per sempre il suo approccio alla realtà che lo circonda. È un reduce, e come tale fatica a reinserirsi nella vita ordinaria, nei problemi ordinari dei giovani della sua età. Nello stesso anno pubblica con Garzanti I più non ritornano, il suo primo libro, sulla ritirata di Russia, da lui così dolorosamente vissuta. Sempre nel ‘47, in occasione dell’ultimo esame sostenuto all’università, conosce Vanda di Marsciano, colei che poi diverrà sua moglie (nel 1951).

Nel 1951 Corti comincia a lavorare nell’industria paterna: non ama quel lavoro, ma continua a svolgerlo per una decina d’anni.

Cronache di guerra

In tutte le sue cronache di guerra, importantissima è l’analisi di Corti circa il modo di combattere degli italiani, assai individualisti, istintivamente scompaginati e soggetti alla ribellione all’autorità: il comportamento degli italiani in guerra rappresenta perfettamente il loro modo di essere in patria. Il buon cuore dei nostri soldati è evidente. Altrettanto evidente è, tuttavia, la difficoltà a lavorare e unirsi per il bene comune. La pavidità dei più si alterna con l’eroismo e l’ardore patriottico di alcuni individui e di singoli corpi d’armata, particolarmente gli Alpini e i Corazzieri, soldati eccellenti e migliori persino dei tedeschi. Altre importanti considerazioni belliche e culturali riguardano appunto i tedeschi, i polacchi e i russi.

Il buon cuore dei nostri soldati è evidente. Altrettanto evidente, però, è la difficoltà di lavorare e unirsi per il bene comune. Alla viltà della maggioranza si è alternato l'eroismo e l'ardore patriottico di alcuni individui e di singoli corpi, in particolare degli Alpini e dei Corazzieri, ottimi soldati, migliori anche dei tedeschi. Altre importanti considerazioni belliche e culturali riguardano tedeschi, polacchi e russi.

In questi anni di lavoro Corti si dedica a un approfondito studio teorico e storico del comunismo: uniti alla sua personale esperienza in terra sovietica, questi studi gli faranno capire cosa esattamente stia accadendo in Russia; non solo, con lucidità intellettuale veramente unica riuscirà a spiegare i motivi del fallimento – peraltro inevitabile – dell’ideologia comunista. 

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