Pochi mesi fa, nel febbraio 2024, si è spenta all'età di quasi 97 anni Wanda Corti, moglie di Eugenio, autore di romanzi come il celebre "Il cavallo rosso".
In diverse occasioni ho avuto l'onore di parlare con la signora Corti, che mi aveva risposto al telefono dopo che avevo semplicemente cercato il suo nome nell'elenco. Mi ero presentato, le avevo confidato, come romanziere e storico, la mia ammirazione per la vita e l'opera di suo marito, le avevo regalato i miei libri, e lei non solo mi aveva incoraggiato a continuare, ma mi aveva persino telefonato dopo una conferenza che avevo tenuto qualche anno fa su Eugenio Corti.
E ora sono qui a scrivere di una persona che ha avuto una tale influenza sulla mia vita e sulla mia vocazione di uomo e di narratore. Eugenio Corti, infatti, è per me un padre, un maestro, un modello per affrontare le proprie battaglie, quelle delle delusioni che ha dovuto subire e delle sfide che ha dovuto affrontare.
Prima parte: i primi anni e la guerra
Vorrei iniziare a parlare della sua vita, che è una vera e propria epopea (un'epopea, dal greco ἐποποιΐα, composta da ἔπος, "epos", e ποιέω, "poieo", che significa fare, è un componimento poetico che narra gesta eroiche), attraverso quello che è considerato il suo testamento spirituale, una lettera scritta alla moglie Vanda nel 1993 e che sottolinea quanto fosse forte la sua alleanza umana e spirituale:
"Vanda mia:
Lei parla di sé come di uno "che non ha portato frutto": ma non è vero, non è la realtà. L'allusione alla mancanza di figli carnali è evidente; anch'io un tempo li ho desiderati, ma né io né tu siamo stati chiamati a farlo: la nostra unione, nei piani di Dio, non era destinata a questo scopo; anzi, se avessimo avuto figli, il progetto di Dio su di noi non si sarebbe potuto realizzare.
I nostri veri figli sono i nostri libri, che non vengono solo da me, ma anche da voi. Essi si reggono interiormente - come sapete - su due pilastri: la verità e la bellezza, e senza di voi al mio fianco e davanti ai miei occhi ogni giorno, la loro bellezza non sarebbe esistita, o si sarebbe molto atrofizzata, cioè, in conclusione, non sarebbe esistita.
Quindi la sua vita non è stata qualcosa di noioso, ma al contrario, qualcosa di brillante: è stata una straordinaria avventura di donna. Perché quei libri - lo sai anche tu - sono riusciti pienamente, e hanno un valore straordinario. Oggi non tutti sono in grado di capirlo, perché si confrontano con la falsa cultura dominante. Ma non c'è nemmeno bisogno di rimpiangerlo: anzi, prego sempre Dio che - finché vivo - non mi conceda la soddisfazione di un grande successo, perché sotto questo aspetto sono debole, e cederei facilmente alla tentazione dell'orgoglio.
Se continuiamo a cercare il Regno di Dio, tutto ciò di cui abbiamo bisogno ci sarà dato in sufficiente abbondanza, come lo è stato finora.
Dalla scuola alla guerra
Eugenio Corti è nato a Besana, in Brianza, il 21 gennaio 1921, primo di dieci figli. È figlio di un industriale tessile che si è fatto da sé. Inizia a lavorare da bambino e poi riesce ad acquistare la fabbrica in cui lavora, la Nava di Besana, ampliandola e aprendo nuovi stabilimenti.
Studia a Milano, nel collegio di San Carlo, dove compie gli studi di grammatica e di maturità classica. I genitori avevano disposto che diventasse ragioniere per poter essere un valido assistente in azienda, ma il rettore del collegio, monsignor Cattaneo, si oppose fermamente, comprendendo che per il giovane Eugenio la maturità classica era la strada più adatta.
Nel 1940 gli studi furono improvvisamente interrotti ed Eugenio non poté sostenere gli esami di maturità, che furono superati d'ufficio: l'Italia era entrata in guerra. Ciononostante, il giovane Corti riuscì a iscriversi all'Università Cattolica, anche se poté studiare solo il primo anno di Giurisprudenza, dopo il quale fu chiamato per il servizio militare.
L'addestramento da sottufficiale inizia nel 1941 e dura un anno, al termine del quale Eugenio Corti diventa sottotenente. Nel frattempo, trasmette la sua richiesta di essere inviato sul fronte russo: "Avevo chiesto di essere inviato su quel fronte per vedere da vicino i risultati del gigantesco tentativo di costruire un mondo nuovo, completamente staccato da Dio, anzi contro Dio, portato avanti dai comunisti. Volevo assolutamente conoscere la realtà del comunismo; per questo ho pregato Dio di non farmi mancare questa esperienza, che ritenevo fondamentale per me: in questo non mi sbagliavo".
Soggiorno in Russia
Corti ha vinto ed è andato a Russia. "Sono arrivato al fronte all'inizio di giugno del 1942. Per un mese il fronte non si mosse, poi ci fu la grande avanzata dal Donetz al Don, seguita da mesi di stasi. Il 16 dicembre iniziò l'offensiva russa sul Don e il 19 la nostra ritirata: quella stessa notte il mio corpo d'armata si trovò chiuso in una sacca. Ci era stato ordinato di lasciare il Don senza carburante per i veicoli, così abbiamo dovuto abbandonare tutto il nostro equipaggiamento, senza poter salvare un solo cannone, tende o provviste.
Sono i giorni più drammatici della vita di Corti: i ventotto giorni di ritiro, magistralmente narrati in "...".I più non ritornano". La vigilia di Natale del 1942, fece un voto a Maria: se si fosse salvato, avrebbe dedicato la sua vita a lavorare per il Regno di Dio, a diventare uno strumento di quel Regno con i doni che gli erano stati dati: "Se mi salvassi, passerei tutta la mia vita alla luce di quel versetto del Padre Nostro che dice: venga il tuo Regno".
Solo nella notte del 16 gennaio alcuni superstiti riuscirono a uscire dall'accerchiamento russo. Dei 229.000 uomini dell'Armata Italiana in Russia (ARMIR), il totale dei caduti in azione e in prigionia fu di 74.800; dei circa 55.000 soldati catturati, solo 10.000 fecero ritorno. Per quanto riguarda il settore Corti, dei circa 30.000 italiani del Trentacinquesimo Corpo d'Armata accerchiato sul Don, solo 4.000 usciranno dalla sacca, di cui 3.000 congelati o gravemente feriti.
Ritorno a casa
Dopo il ritorno a casa e una difficile convalescenza, nel luglio del 1943 rientra nella caserma di Bolzano, per poi essere trasferito a Nettunia, da dove, dopo l'8 settembre, si dirige a piedi verso sud, accompagnato dall'amico Antonio Moroni, per ricongiungersi all'esercito regolare. Queste vicende, e tutte quelle relative alla guerra di liberazione, sono raccontate ne "Gli ultimi soldati del re". Dopo un periodo nei campi di riarmo, Corti si arruolò volontario nelle unità create per affiancare gli Alleati nella liberazione dell'Italia, per salvare la patria:
"La patria non va confusa con i monumenti delle città o con il libro di storia: è l'eredità che ci hanno lasciato i nostri genitori, nostro padre. È la gente che ci assomiglia: la nostra famiglia, i nostri amici, i nostri vicini, quelli che la pensano come noi; è la casa in cui viviamo (che ci viene sempre in mente quando siamo lontani), è le cose belle che abbiamo intorno. La patria è il nostro modo di vivere, diverso da quello di tutti gli altri popoli.
Pace: opere prime
Tornato alla vita borghese, il giovane Corti inizia a studiare con riluttanza per compiacere i genitori e si laurea in legge nel 1947. A quel punto, l'orrore vissuto e l'incertezza del domani hanno cambiato per sempre il suo approccio alla realtà che lo circonda. È un reduce e come tale fatica a reinserirsi nella vita comune, nei problemi ordinari dei giovani della sua età. Nello stesso anno pubblica "I più non ritornano", il suo primo libro con Garzanti, sulla ritirata di Russia, da lui vissuta così dolorosamente. Sempre nel 1947, in occasione dell'ultimo esame universitario, conosce Vanda di Marsciano, la donna che diventerà sua moglie nel 1951.
Quell'anno Corti iniziò a lavorare nell'industria del padre: il lavoro non gli piaceva, ma continuò a farlo per circa dieci anni.
Cronache di guerra
Nelle sue cronache di guerra, l'analisi di Corti sul modo di combattere degli italiani, fortemente individualisti, istintivamente scostanti e inclini alla ribellione contro l'autorità, è molto importante: il comportamento degli italiani in guerra rappresenta perfettamente il loro modo di essere in patria.
Il buon cuore dei nostri soldati è evidente. Altrettanto evidente, però, è la difficoltà di lavorare e unirsi per il bene comune. Alla viltà della maggioranza si è alternato l'eroismo e l'ardore patriottico di alcuni individui e di singoli corpi, in particolare degli Alpini e dei Corazzieri, ottimi soldati, migliori anche dei tedeschi. Altre importanti considerazioni belliche e culturali riguardano tedeschi, polacchi e russi.
In questi anni Corti si dedicò a un profondo studio teorico e storico del comunismo. Unitamente alla sua esperienza personale in terra sovietica, questi studi gli permisero di comprendere esattamente ciò che stava accadendo in Russia; non solo, con una lucidità intellettuale davvero unica fu in grado di spiegare le ragioni del fallimento - inevitabile - dell'ideologia comunista.