Cultura

Il cristianesimo in Giappone (II)

Il cristianesimo in Giappone è iniziato con l'arrivo di San Francesco Saverio sulle sue coste nel XVI secolo. La storia dei cristiani giapponesi è stata tormentata da numerosi martiri.

Gerardo Ferrara-5 giugno 2023-Tempo di lettura: 7 minuti
Takashi Pablo Nagai

Takashi Pablo Nagai

Non si può parlare di cristianesimo in Giappone – come in qualunque altra parte del mondo – senza utilizzare la parola “martirio”, un termine che deriva dal greco μάρτυς, cioè “testimone”.

Le prime persecuzioni

Nel 1587, quindi, Hideyoshi emanò un editto che ordinava ai missionari stranieri di lasciare il Paese. I missionari, dal canto loro, continuarono a operare clandestinamente. Dieci anni dopo ebbero inizio le persecuzioni. Il 5 febbraio 1597, 26 cristiani (6 francescani e 3 gesuiti europei, insieme a 17 terziarie francescane giapponesi), tra cui San Paolo Miki,  furono crocifissi e bruciati vivi in ​​piazza Nagasaki.

La comunità cristiana in Giappone subì una seconda persecuzione nel 1613.

In questi anni, l’élite giapponese al potere si dilettò nello sperimentare forme di tortura e omicidio sempre più crudeli e originali: i cristiani erano crocifissi; bruciati a fuoco lento; bolliti vivi nelle roventi sorgenti termali; segati in due parti; appesi a testa in giù in una fossa piena di escrementi, con un taglio sulla tempia in modo che il sangue potesse defluire e non morissero rapidamente.

Era, quest’ultima, una tecnica chiamata tsurushi e veniva ampiamente utilizzata, poiché permetteva ai torturati di rimanere coscienti fino alla morte o fino al momento in cui non decidessero di rinnegare la fede calpestando le fumie (icone con l’immagine di Cristo e della Vergine).

Divieto di cristianesimo in Giappone

Nel 1614, lo shogun Tokugawa Yeyasu, signore del Giappone, bandì il cristianesimo con un nuovo editto e impedì ai cristiani giapponesi di praticare la loro religione. Il 14 maggio dello stesso anno si svolse l’ultima processione per le strade di Nagasaki, che toccò sette delle undici chiese della città, tutte successivamente demolite.

Da allora, i cristiani continuarono a professare la loro fede nella clandestinità: iniziava così l’era dei kakure kirishitan (cristiani occulti).

La politica del regime dello shogun divenne sempre più repressiva. Con lo scoppio una rivolta popolare a Shimabara, vicino a Nagasaki, tra il 1637 e il 1638, che vedeva coinvolti principalmente contadini ed era guidata dal samurai cristiano Amakusa Shiro, la rivolta stessa fu repressa nel sangue, e con le armi fornite dagli olandesi protestanti, i quali detestavano il papa per ragioni di fede e i cattolici in genere per ragioni soprattutto economiche (loro intento era strappare a portoghesi e spagnoli la possibilità di commerciare con il Giappone per instaurare un regime di monopolio).

Il sakoku, chiusura del paese

A Shimabara e dintorni si contarono 40 mila cristiani trucidati nella maniera più orribile. Il loro sacrificio e la loro abnegazione sono comunque ad oggi ricordati e rispettati da tutti i giapponesi, non solo dai cristiani.  

Nel 1641, lo shogun Tokugawa Yemitsu emanò un ulteriore decreto, in seguito noto come sakoku (termine che indica la chiusura ermetica del Paese), in cui si proibiva qualsiasi forma di contatto tra giapponesi e stranieri. Per due secoli e mezzo, l’unica porta d’ingresso in Giappone per i mercanti olandesi rimase la piccola isola di Deshima, vicino a Nagasaki, da cui non potevano allontanarsi.

Lo stesso porto di Nagasaki, tuttavia, così come i suoi dintorni e soprattutto le isole della baia offrirono un rifugio a ciò che rimaneva della cristianità.

Fine della persecuzione in Giappone

Fu solamente il Venerdì santo del 1865 che diecimila di questi kakure kirishitan, cristiani nascosti, uscirono dai villaggi dove professavano la loro fede in clandestinità, senza sacerdoti e senza messa, e si presentarono allo stupito Bernard Petitjean della Societé des Missions Etrangères de Paris, arrivato poco prima per essere cappellano degli stranieri della Chiesa dei 26 Martiri di Nagasaki (Oura).

Chiesero al sacerdote, che chiamavano “padre” (parola che si era conservata, in lingua portoghese, per secoli nel loro lessico religioso) di poter partecipare alla messa.

Grazie alla pressione dell’opinione pubblica e dei governi occidentali, la nuova dinastia imperiale al potere, i Meiji, pose fine all’era degli shogun e, pur mantenendo lo shintoismo come religione di stato, il 14 marzo 1873 decretò la fine della persecuzione e nel 1888 riconobbe il diritto alla libertà religiosa per tutti i cittadini. Il 15 giugno 1891 fu eretta canonicamente la diocesi di Nagasaki, che nel 1927 salutò monsignor Hayasaka come primo vescovo giapponese, personalmente consacrato da Pio XI.

L'olocausto nucleare in Giappone

Il 9 agosto 1945, alle 11:02 del mattino, un’orribile esplosione nucleare scosse il cielo di Nagasaki, appena 500 metri sopra la cattedrale della città, dedicata all’Assunzione della Vergine. Ottantamila persone morirono all’istante e più di centomila rimasero ferite.

La Cattedrale di Urakami, dal nome del quartiere in cui si trovava, era e continua ad essere oggi, dopo la sua ricostruzione, il simbolo di una città martirizzata due volte: per le persecuzioni religiose di cui furono vittime migliaia di persone, in odium fidei, nell’arco di quattro secoli; e per lo scoppio di un dispositivo infernale che incenerì all’istante molti dei suoi abitanti, tra cui migliaia di cristiani, definiti dal loro illustre contemporaneo e concittadino, il dottor Takashi Pablo Nagai, “Agnello del sacrificio ucciso, per essere offerta perfetta sull’altare, dopo tutti i peccati commessi dalle nazioni della Seconda guerra mondiale”.

Nagasaki non era l'obiettivo originale

Due curiosità su questo terribile evento.

Chiesa in rovina a Nagasaki, 1946

In primo luogo, gli Stati Uniti non avevano la necessità sganciare una seconda bomba nucleare, poiché la resa del Giappone era imminente, specie dopo che un altro ordigno era stato fatto esplodere a Hiroshima pochi giorni prima, un ordigno, però, di tipo diverso (uranio 235) e in un territorio dalla conformazione differente. Si voleva, dunque, condurre un ulteriore esperimento per misurare gli effetti di un’altra bomba, questa volta di plutonio 239, in un territorio topograficamente diverso.

In secondo luogo, il lancio del nuovo artefatto non doveva avvenire a Nagasaki, bensì in un’altra città, chiamata Kokura. Tuttavia, a Kokura il cielo era nuvoloso e ciò non permetteva di individuare il punto in cui sganciare la bomba. Al contrario, a Nagasaki, scelta come riserva, splendeva il sole, quindi il pilota optò per spostarsi nella nuova posizione e sganciare la bomba atomica sull’obiettivo designato in città, cioè una fabbrica di munizioni.

Ciononostante, una volta sganciata la bomba, si verificò un nuovo imprevisto: il vento deviò leggermente la traiettoria del dispositivo, facendolo esplodere a poche centinaia di metri sopra il quartiere di Urakami, proprio sopra la cattedrale cattolica più grande dell’Asia orientale, in quel momento piena di fedeli che pregavano per la pace.

Alcune domande

Oggi, in Oriente, in Africa e in molte altre parti del mondo, migliaia di cristiani continuano a essere perseguitati, spesso assassinati, e talvolta proprio nel momento in cui implorano Dio di salvarli dalla guerra, dalla mano dei loro nemici, pur continuando a intercedere per i propri persecutori e a perdonarli. Non è esattamente la stessa cosa che ha fatto colui cui essi si ispirano, Gesù Cristo?

Tutto questo può farci domandare, forse, qual sia la vera prospettiva, lo sguardo con cui dovremmo considerare la storia umana: il male per chi vuole e cerca il bene e la pace e il bene per chi perseguita il male? La morte per suo Figlio e i suoi discepoli e la vita tranquilla per i suoi persecutori? È davvero questo ciò che Dio ha sempre voluto?

A queste domande può rispondere molto bene Takashi Pablo Nagai, il quale non solo non ha identificato come male quella che può sembrare umanamente una delle peggiori disgrazie della storia, ma è arrivato addirittura a ringraziare Dio per il sacrificio di tanti martiri polverizzati dalla bomba, compresa la sua amata moglie Midori, della quale il medico giapponese, lui stesso gravemente ferito e affetto da leucemia, trovò, tra le macerie della sua casa il giorno dopo lo scoppio della bomba, nient’altro che ossa carbonizzate con accanto la catena del rosario.

Takashi Pablo Nagai

Come per Cristo, anche per un martire, un seguace e un testimone di Cristo, il vero significato della vita è essere uno strumento nelle mani di Dio e, secondo Nagai, quelli che sono morti nell’olocausto nucleare di Nagasaki sono divenuti uno strumento di Dio per salvare un numero enormemente maggiore di vite, come egli stesso dichiarò nel corso di una cerimonia per ricordare le vittime nei pressi delle rovine della cattedrale:

Ci chiediamo: il convergere di simili eventi, fine della guerra e celebrazione della festa di Maria Assunta in Cielo, è stato un puro caso o un segno provvidenziale? Ho sentito dire che la bomba atomica era destinata a un’altra città. Le fitte nubi resero quel bersaglio troppo difficile e i piloti puntarono sul bersaglio alternativo, Nagasaki. Ci fu anche un problema tecnico, per cui la bomba fu lanciata molto più a nord di quanto era stato stabilito e scoppiò così proprio sulla cattedrale. Non fu certo l’equipaggio dell’aereo americano che scelse proprio il nostro quartiere.

Io credo che fu Dio, la sua provvidenza, a scegliere Urakami e a portare la bomba esattamente sulle nostre case. Non c’è forse un profondo rapporto tra l’annientamento di Nagasaki e la fine della guerra? Non fu forse Nagasaki la vittima scelta, l’Agnello del sacrificio ucciso, per essere offerta perfetta sull’altare, dopo tutti i peccati commessi dalle nazioni della Seconda guerra mondiale.

a nostra Chiesa di Nagasaki ha mantenuto la fede durante centinaia di anni di persecuzione, quando la nostra religione era stata messa al bando e il sangue dei martiri scorreva copioso. Durante la guerra, questa stessa chiesa non ha mai smesso di pregare, giorno e notte, per una pace che fosse duratura. Non era dunque proprio questo l’agnello senza macchia che doveva essere offerto sull’altare di Dio? Grazie al sacrificio di questo agnello diversi milioni di persone, che altrimenti sarebbero cadute vittime delle devastazioni della guerra, sono state salvate.

Conclusioni

Questo dovrebbe essere anche il nostro sguardo, l’unico sguardo possibile sulla storia, nonché la sola prospettiva di vita, per un cristiano e per un “martire”, un testimone di Cristo:

Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna (Giovanni 12, 22-24).

L'autoreGerardo Ferrara

Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.

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