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Corridoi umanitari", ponti efficaci per una vera accoglienza

Più di 6.000 persone hanno potuto salvare la propria vita e trovare una vera casa al di fuori dei loro Paesi d'origine grazie a questa iniziativa della Comunità di Sant'Egidio iniziata nel 2016. 

Giovanni Tridente-21 marzo 2023-Tempo di lettura: 3 minuti
corridoi umanitari per i rifugiati

Foto: Un gruppo di rifugiati ucraini attraversa il confine con la Polonia ©CNS photo/Leonhard Foeger, Reuters

"Ponti" che permettono a tanti bambini, donne, uomini e anziani di compiere un "viaggio sicuro, legale e dignitoso", superando situazioni di precarietà e pericolo e cercando di ritrovare un po' di speranza una volta stabilitisi nei Paesi di accoglienza.

Questa è l'esperienza fruttuosa del cosiddetto ".corridoi umanitari"La Comunità di Sant'Egidio, che è stata lanciata per la prima volta nel 2016 dalla Comunità di Sant'Egidio, come riassume il Papa Francesco nell'incontro con centinaia di rifugiati e famiglie coinvolti in questa rete di accoglienza.

Si tratta di un progetto nato grazie alla "generosa creatività" dei Comunità di Sant'Egidio Sono coinvolti anche la Federazione delle Chiese Evangeliche e l'Ufficio Valdese, oltre al contributo della Chiesa italiana attraverso la Caritas. Un piccolo esempio, al tempo stesso, di ecumenismo della carità.

Una strada percorribile per evitare la tragedia

Secondo Papa Francesco, il corridoi umanitari "sono una strada percorribile per evitare tragedie - come quella più recente al largo delle coste italiane della Calabria, a Cutro, con oltre 80 vittime - e i pericoli legati alla tratta di esseri umani". È chiaro che si tratta di un modello che deve essere ulteriormente esteso e che dovrebbe aprire "vie legali per la migrazione".

Il Pontefice invita inoltre i politici ad agire nell'interesse dei propri Paesi, perché "una migrazione sicura, ordinata, regolare e sostenibile" è nell'interesse di tutti.

Non a caso, attraverso l'esperienza dei "Corridoi", l'integrazione segue l'accoglienza, anche se il processo non è sempre facile: "non tutti quelli che arrivano sono preparati al lungo cammino che li attende".

Ma l'incoraggiamento del Papa agli operatori è molto chiaro: "non siete intermediari, ma mediatori, e dimostrate che, se lavorate seriamente per porre le basi, è possibile accogliere e integrare efficacemente".

Inoltre, l'accoglienza rappresenta anche "un impegno concreto per la pace", oltre a diventare "una forte esperienza di unità tra i cristiani", poiché coinvolge altri fratelli e sorelle che condividono la stessa fede in Cristo.

I primi ricevimenti

L'esperienza dei "corridoi umanitari" è nata ufficialmente il 15 dicembre 2015, quando la Comunità di Sant'Egidio, insieme alle Chiese protestanti italiane e ai Ministeri dell'Interno e degli Esteri, ha firmato un protocollo d'intesa: 1.000 visti per 1.000 profughi siriani provenienti dai campi del Libano.

Il protocollo era stato reso possibile grazie a un lavoro legale che aveva trovato una possibilità nell'articolo 25 del Regolamento europeo 810/2009, che prevede la possibilità per gli Stati dell'UE di rilasciare visti umanitari limitati a un solo Paese. E così è stato per la prima volta per l'Italia.

È nata dalla tragica esperienza di due naufragi di massa nel Mediterraneo, il primo il 3 ottobre 2013 a poche miglia dall'isola di Lampedusa, con l'annegamento di 386 persone, per lo più eritrei; nel 2015, il 18 aprile, 900 persone a bordo di un peschereccio egiziano sono morte nel Canale di Sicilia.

Secondo i dati forniti alla stessa Comunità di Sant'Egidio, dal 1990 a oggi - in trent'anni, praticamente - si stima che oltre 60.000 persone siano morte o scomparse nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa. Cifre che hanno spesso portato Papa Francesco a definire questo crocevia di scambi e di persone, un tempo "mare nostrum", a rischio di diventare "un desolato mare mortuum".

Sulle spalle della società civile

Da febbraio 2016, i corridoi umanitari hanno permesso a 6.018 persone di raggiungere l'Europa in sicurezza da Siria, Eritrea, Afghanistan, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Iraq, Yemen, Congo e Camerun.

Di questi, 87% sono stati ospitati in Italia, il resto in Francia, Belgio e Andorra. Grazie a un programma di ricollocazione, Germania e Svizzera hanno accolto rispettivamente 9 e 3 persone provenienti dalla Grecia.

Queste cifre non sembrano eccessivamente elevate, ma la spiegazione sta nel fatto che è la "società civile" a finanziare il sistema senza l'intervento di enti o istituzioni statali.

Una volta arrivati nei Paesi di accoglienza, i rifugiati vengono infatti ospitati dai promotori del progetto e sistemati in varie case e strutture in tutto il Paese secondo il cosiddetto modello di "accoglienza generalizzata".

Gli operatori accompagnano poi queste persone a integrarsi nel tessuto sociale e culturale del Paese, attraverso l'apprendimento della lingua, la scolarizzazione dei minori e altre iniziative di inclusione.

Un modello, come si vede, altamente replicabile attraverso una sinergia virtuosa tra istituzioni pubbliche e associazioni di cittadini.

L'autoreGiovanni Tridente

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