America Latina

Corrado Maggioni: "Maria ci guida all’Eucaristia".

Il prossimo Congresso Eucaristico Internazionale si terrà a Quito, in Ecuador, dall'8 al 15 settembre 2024.

Giovanni Tridente-4 maggio 2023-Tempo di lettura: 6 minuti
Papa Francesco Eucaristia

Papa Francesco benedice con l'Eucaristia ©CNS photo/Paul Haring

Il prossimo Congresso Eucaristico internazionale si terrà a Quito, in Ecuador, dall’8 al 15 settembre del 2024. Sono già iniziati i preparativi e da settembre di quest’anno sarà possibile iscriversi tramite la pagina web ufficiale. OMNES ha intervistato il Presidente del Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali, p. Corrado Maggioni, sacerdote della Congregazione dei Missionari Monfortani. Il religioso offre anche alcuni spunti su come ravvivare l’amore per l’Eucaristia e la devozione alla Vergine Maria, con uno sguardo al prossimo Giubileo del 2025 dedicato alla Speranza.

Il prossimo Congresso Eucaristico internazionale si terrà nel settembre del 2024 a Quito in Ecuador, approfittando del 150º anniversario della Consacrazione del Paese al Sacro Cuore di Gesù. Come procedono i preparativi?

Il complesso lavoro organizzativo richiesto da un Congresso internazionale ha acceso i motori da tempo e si appresta ora ad affrontare la parte più impegnativa dell’ultimo anno ormai.

La fase di preparazione è gestita dal Comitato locale, con responsabilità dell’Arcivescovo di Quito, che si avvale della cooperazione di varie commissioni (liturgica, teologica, logistica, economica, comunicazione, culturale, pastorale). L’evento coinvolge naturalmente tutti i Vescovi e le diocesi dell’Ecuador, i cui delegati sono già operativi. Siamo nel momento in cui, dopo aver raccolto possibili idee e iniziative occorre vagliarle e cominciare ad attuarle concretamente. La vetrina preparatoria del Congresso è offerta dalla pagina web https://www.iec2024.ec, dove si trovano informazioni e notizie, in aggiornamento costante, e dal prossimo mese di settembre sarà possibile iscriversi per partecipare al Congresso dall’8 al 15 settembre 2024. Dal mio recente viaggio a Quito posso attestare l’entusiasmo che anima quanti sono già coinvolti nell’organizzazione del Congresso, consapevoli che per le Chiese dell’Ecuador questo importante evento ecclesiale è già iniziato e sta mostrando i suoi primi frutti.

Quale sarà il tema di questa prossima edizione?

Il tema che caratterizza questo Congresso, approvato dal Papa Francesco, recita: “Fraternità per sanare il mondo”, rischiarato dalla parola di Gesù: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8). Tale tematica, di evidente portata eucaristica, sarà esposta nel Testo base attualmente in fase di elaborazione e che, tradotto nelle varie lingue, costituirà il riferimento per incontri di catechesi e di riflessione nei vari Paesi. L’approfondimento del tema avverrà in particolare nel Simposio Teologico che si svolgerà a Quito immediatamente prima del Congresso e quindi sarà oggetto di riflessione, dialogo, confronto ed esperienza nei giorni celebrativi del Congresso Eucaristico, a cui prenderanno parte delegazioni dell’Ecuador e di varia provenienza.

Naturalmente, insieme alla riflessione, il motivo del Congresso è la celebrazione dell’Eucaristia, in modo speciale di chiusura, denominata statio orbis poiché vi è convocata la rappresentanza del popolo di Dio – vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi e laici – diffuso in ogni parte del mondo.

Come ritiene che si possa ravvivare l’amore per l’Eucaristia in un mondo caratterizzato dall’individualismo e dall’effimero?

Non ci sono ricette precostituite capaci di accendere nei cuori il fuoco santo che consuma “eucaristicamente” la vita. Del resto, anche il mondo in cui fiorirono le primitive comunità cristiane era segnato dall’individualismo e dall’effimero, come da altre logiche antievangeliche. Occorre un motivo per partecipare alla Messa. Si suppone infatti la fede in Cristo, ossia l’aver messo a fuoco nella propria esperienza la decisività dell’incontro con lui, Signore e Maestro. Finché Dio resta un fantasma senza nome e Gesù un qualcosa di ideale, un personaggio del passato, forse un riferimento tra altri secondo il “mi piace - non mi piace”, non vedo un terreno fertile per il radicarsi dell’economia sacramentale, al cui centro sta l’Eucaristia domenicale. Una volta si andava a Messa per dovere, per abitudine, anche se non si deve generalizzare poiché siamo figli di generazioni di uomini e donne che hanno vissuto la fede cristiana. Tuttavia il cambiamento di epoca che stiamo attraversando ben manifesta nei nostri Paesi di antica evangelizzazione che non funziona più una credenza generica che si risveglia in occasione di battesimi, prime comunioni e funerali. Non aiuta una religiosità fatta di atti cultuali dettati dall’obbligo o dal senso di colpa, ispirati dall’idea di un Dio da imbonire o dal quale difendersi o da cui pretendere benessere materiale. La sfida da raccogliere per ravvivare l’amore per l’Eucarestia è quella di prendere coscienza che il Vangelo è davvero rivoluzionario, anzitutto per me. Fino a che non avverto nel mio cuore il fuoco della divina Presenza che mi ama gratuitamente e perciò cambio vita, non posso avvertire la necessità di partecipare alla Messa, che è l’azione mediante la quale Cristo continua oggi realmente a parlarci e a nutrirci del suo Corpo affinché diventiamo, noi che facciamo comunione con lui, il suo Corpo vivente nel mondo. Il Vangelo suscita la fede in Cristo e Cristo lo incontriamo nei sacramenti della Chiesa. Se ho a cuore Cristo avrò a cuore anche la Messa.

Quanto può aiutare in questo rinnovato apostolato la devozione alla Vergine Maria, Madre di Nostro Signore?

A chi guardare per assomigliare a Cristo se non anzitutto a Maria? Lei è la prima credente, la prima a dire al Vangelo “eccomi, si compia in me”, la prima cristiana poiché ha lasciato vivere Cristo dentro di sé, aprendogli tutta intera la sua persona, spirito, anima e corpo. Sì, anche il corpo, poiché è nella nostra carne che Cristo vuole abitare.

La Vergine Maria è decisiva per la nostra salvezza, poiché grazie a lei abbiamo ricevuto il Salvatore. Ma è decisiva anche per l’esemplarità della sua risposta di fede, che ci insegna a diventare discepoli del suo Figlio. La devozione mariana non è facoltativa per i discepoli di Gesù ma fa parte del loro DNA battesimale. Maria ci è madre e noi siamo suoi figli per volere testamentario di Gesù che, prima di esalare in croce l’ultimo respiro, ha chiamato Maria a diventare madre di tutti i suoi discepoli e questi ad essere eredi del suo stesso amore verso sua Madre. In questa luce, ben descritta nel vangelo di Gv 19,25-27, nei discepoli di Gesù Maria continua ad amare maternamente il suo Figlio. E noi, amandola con affetto filiale, coltiviamo nei suoi confronti lo stesso amore che Gesù ha nutrito per lei. La devozione a Maria non ci allontana da Cristo, ma ci conforma più facilmente a Cristo. In caso contrario non sarebbe vera devozione, ma falsa. La dimensione “mariana” infatti permea la celebrazione eucaristica. Il corpo storico di Cristo, nato dalla Vergine, è fondamento del Mistero eucaristico. Senza l’eccomi di Maria non ci sarebbe stata l’Incarnazione e senza Incarnazione non avremmo alcuna economia sacramentale. Cambiano i segni, ma identica è la realtà: il corpo e il sangue che riceviamo all’altare sono dello stesso Cristo che ha preso carne e sangue dalla Vergine, in virtù dello Spirito Santo. In tal senso Maria ci guida all’Eucaristia, così come ci aiuta a celebrarla degnamente: in comunione con lei e sul suo esempio, ascoltiamo e custodiamo la Parola di Dio e diventiamo un solo Corpo in-con-per Cristo. Non è forzare le cose se diciamo che la vera devozione mariana incrementa la vera devozione eucaristica.

Nel 2025 si celebrerà un nuovo Giubileo incentrato sulla speranza. Come mostrare a un mondo affaticato la speranza che viene dal Gesù incarnato nella storia?

Non ci sono tante risposte a questa domanda. L’autentica via per mostrare in Chi abbiamo posto la nostra speranza è la credibile testimonianza che siamo capaci di offrire. Non certo una testimonianza aggressiva, che cioè rimprovera gli altri di non essere come noi, di pensarla come noi, né la testimonianza farisaica soddisfatta delle proprie opere buone e del disprezzo di quelle altrui. Penso che la testimonianza credibile sia soltanto quella “evangelica”, simile cioè al sale, al lievito, alla luce, da pagare in prima persona. Per dare sapore infatti il sale deve sciogliersi, per fermentare la pasta il lievito deve scomparire, per illuminare occorre che la fiamma consumi l’olio.

Questa è la logica “pasquale” che ha sigillato l’intera esistenza di Gesù Cristo. Ben la illustra la similitudine del seme che “deve” morire sottoterra perché possa germogliare la spiga carica di chicchi. Gli stessi elementi del convito eucaristico, il pane e il vino, ci parlano di gratuite donazioni, di efficaci conversioni. Il pane infatti non cresce in natura ma è frutto di una serie di oblazioni: i chicchi di frumento sono macinati per diventare farina che poi viene impastata e infine cotta dal fuoco.

Anche il vino racconta una storia di offerta: da acini d’uva martirizzati nel tino, si ottiene il vino che rallegra vincoli familiari e stringe amicizie. Questa logica pasquale, fatta di morte per la vita altrui, è del resto il messaggio che Papa Francesco non si stanca di ricordarci quando parla di Chiesa in uscita, non preoccupata di sé ma degli altri, povera di mezzi perché ricca della potenza del Vangelo, prossima all’umanità ferita, compassionevole e misericordiosa per la carne mortale bisognosa di essere salvata. Solo così la Chiesa potrà assomigliare a Cristo e testimoniare la speranza che viene dal Dio-con-noi e per-noi. La speranza del Giubileo sarà quella che saremo capaci di sprigionare dall’esperienza “pasquale” delle nostre persone, fatte di fragile argilla ma gravide della potenza della ri-creazione. Animati da tale originale coscienza cristiana, potremo attraversare il deserto sapendo di non restare delusi. Sull’esempio di Colui che “morendo ha distrutto la morte” come canta un prefazio del tempo pasquale che stiamo vivendo.












L'autoreGiovanni Tridente

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