Vaticano

Considerazioni sul motu proprio "Ad charisma tuendum" sull'Opus Dei

Abbiamo chiesto al professor Giuseppe Comotti, esperto giurista, di commentare il documento della Santa Sede (il motu proprio "Ad carisma tuendum") che, il 14 luglio, ha modificato alcuni aspetti della normativa canonica dell'Opus Dei. Le sue considerazioni si basano su due interpretazioni chiave.

Giuseppe Comotti-26 luglio 2022-Tempo di lettura: 5 minuti
opus dei

Foto. Canonizzazione di San Josemaría Escrivá. Fondatore dell'Opus Dei

Traduzione dell'articolo in italiano

Traduzione dell'articolo in inglese

Una corretta interpretazione dell'effettiva portata del recente motu proprio sull'Opus Dei "Ad charisma tuendum richiede l'uso di due chiavi ermeneutiche fornite dallo stesso Papa Francesco nel documento.

Il primo punto chiave è l'esplicito riferimento nel motu proprio alla costituzione apostolica "Ut sitcon la quale San Giovanni Paolo II ha eretto il Prelatura personale della Santa Croce e Opus Dei il 28 novembre 1982.

Mi sembra importante sottolineare che il nuovo motu proprio non abroga la Costituzione Apostolica, ma si limita ad adattarla alla nuova organizzazione della Curia Romana, che prevede in modo generale la competenza, d'ora in poi, del Dicastero per il Clero, e non più del Dicastero per i Vescovi, per tutto ciò che riguarda la Sede Apostolica in materia di prelature personali. 

Per il resto, la struttura e il contenuto della Costituzione Apostolica "Ut sit", incisivamente sintetizzata dallo stesso San Giovanni Paolo II nella Discorso pronunciato il 17 marzo 2001 davanti ai partecipanti a un incontro promosso dalla Prelatura dell'Opus Dei. In quel discorso, il Santo Pontefice, con espressioni inequivocabili, non solo descrisse la Prelatura come "organicamente strutturata", cioè composta da "sacerdoti e fedeli laici - uomini e donne - avendo a capo il proprio Prelato", ma ribadì anche la "natura gerarchica dell'Opus Dei, stabilita nella Costituzione Apostolica con cui ho eretto la Prelatura".

Natura gerarchica

Da questo carattere gerarchico, San Giovanni Paolo II ha tratto "considerazioni pastorali ricche di applicazioni pratiche", sottolineando "che l'appartenenza dei fedeli laici sia alla loro Chiesa particolare sia alla Prelatura, alla quale sono incorporati, fa convergere la particolare missione della Prelatura nell'impegno evangelizzatore di ogni Chiesa particolare, come previsto dal Concilio Vaticano II quando ha istituito la figura delle Prelature personali".

Questo riferimento al Concilio Vaticano II è molto significativo e costituisce la seconda chiave ermeneutica del motu proprio. "Ad charisma tuendum", che sottolinea espressamente la necessità di fare riferimento agli "insegnamenti dell'ecclesiologia conciliare sulle prelature personali". 

Come è noto, l'ultimo Concilio, nel prevedere la possibilità di istituire "diocesi speciali o prelature personali e altre disposizioni del genere" per facilitare "non solo la conveniente distribuzione dei sacerdoti, ma anche le opere pastorali proprie dei vari gruppi sociali da svolgersi in qualsiasi regione o nazione, o in qualsiasi parte della terra" (Decreto "Presbyterorum Ordinis".n. 10), ha omesso di delinearne i contorni precisi, preferendo lasciare spazio a un futuro dinamismo ecclesiale e a una disciplina articolata, "secondo moduli da determinare per ogni caso, sempre salvaguardando i diritti degli ordinari locali".

L'attuazione del Consiglio

I successivi interventi dei Romani Pontefici, nel mettere in pratica la prospettiva indicata dal Concilio, hanno lasciato aperti questi spazi: è il caso del motu proprio "Ecclesiae Sanctae Il Codice di Diritto Canonico di San Paolo VI (6 agosto 1966) e, soprattutto, il Codice di Diritto Canonico di San Giovanni Paolo II del 1983, in cui alcune disposizioni sono dedicate alle prelature personali (canoni 294-297), che possono concretizzarsi in modi diversi, secondo le esigenze individuate dalla Santa Sede, cui spetta l'erezione delle prelature personali.

Si noti, tuttavia, che il Codice di Diritto Canonico del 1983 (a differenza del Codice precedente, che ammetteva l'esistenza del semplice titolo onorifico di prelato), utilizza il termine "prelato" esclusivamente per indicare soggetti diversi dai vescovi diocesani, ma che hanno, come loro, la potestà di veri e propri ordinari rispetto ad ambiti di esercizio della potestà di governo denominati "prelature", ulteriormente specificati con il qualificatore di territoriali o personali, secondo il criterio adottato di volta in volta per individuare i fedeli destinatari dell'esercizio della potestà. Detto questo, il Codice di Diritto Canonico lascia spazio a un'ampia varietà di configurazioni che, concretamente, le singole prelature potrebbero ricevere negli statuti dati a ciascuna di esse dalla Suprema Autorità della Chiesa.

L'episcopato del prelato

In questo ampio spazio di libertà, il Codice di Diritto Canonico non prevede la necessità, ma nemmeno esclude la possibilità, che il prelato sia investito della dignità episcopale, scelta che dipende esclusivamente da una valutazione del Romano Pontefice, che solo nella Chiesa latina è responsabile della nomina dei vescovi.

L'astratta compatibilità della natura di prelatura personale con la dignità episcopale del soggetto che ne è a capo è infatti confermata dalla decisione di San Giovanni Paolo II di nominare vescovi i due precedenti Prelati dell'Opus Dei, ai quali, tra l'altro, egli stesso ha personalmente conferito l'ordinazione episcopale.

D'altra parte, esistono circoscrizioni ecclesiastiche di natura territoriale a capo delle quali si trovano prelati che sono certamente titolari di poteri di governo di natura gerarchica, ma che tuttavia non sono solitamente investiti della dignità episcopale (si pensi alle prefetture apostoliche nei territori di missione).

A ciò va aggiunto che, come è noto, nella prospettiva di un esercizio delle funzioni di governo non limitato ai soli vescovi, le insegne pontificie non sono riservate dal diritto canonico esclusivamente a questi ultimi, ma il loro uso è previsto per una categoria molto più ampia di soggetti, anche se non elevati all'episcopato, Si tratta, ad esempio, di Cardinali e Legati del Romano Pontefice, di Abati e Prelati che hanno giurisdizione su un territorio separato da una diocesi, di Amministratori Apostolici, Vicari Apostolici e Prefetti Apostolici costituiti permanentemente e di Abati di congregazioni monastiche.

Il motu proprio Ad charisma tuendum

Pertanto, se si accetta senza difficoltà che le funzioni di un prelato possano essere affidate a un sacerdote, ciò non impedisce che le prelature personali comportino sempre l'esercizio della potestà di governo ecclesiastico, se non altro perché, come previsto dal canone 295, paragrafo 1, il prelato personale "ha il diritto di istituire un seminario nazionale o internazionale, nonché di incardinare studenti e promuoverli agli ordini con il titolo di servizio alla prelatura". 

Il fatto che Papa Francesco intenda opportunamente tutelare l'origine "carismatica" dell'Opus Dei, "secondo il dono dello Spirito ricevuto da San Josemaría Escrivá de Balaguer", non impedisce in alcun modo che la Prelatura in quanto tale sia stata eretta mediante una Costituzione Apostolica, che è lo strumento solitamente utilizzato dal Romano Pontefice per istituire le circoscrizioni ecclesiastiche, attraverso le quali viene distribuito e regolato l'esercizio del potere di governo che corrisponde alla gerarchia.

Di conseguenza, il motu proprio "Ad charisma tuendum", In linea con il Magistero del Concilio, lungi dall'imporre una netta separazione tra la dimensione carismatica e quella istituzionale-gerarchica della Chiesa, il Concilio è stato un'istituzione di grande importanza. Opus Deideve essere letto come un invito a vivere con "un nuovo dinamismo" (cfr. San Giovanni Paolo II, Lettera apostolica "Il nuovo dinamismo della Chiesa").Novo millennio ineunte"15) la fedeltà al carisma di San Josemaría, che la Suprema Autorità della Chiesa, attraverso la costituzione apostolica "Ut sit", ha tradotto nell'istituzione di una Prelatura personale, cioè di uno strumento di natura gerarchica.

Ad essa è affidato quello che Papa Francesco definisce nel motu proprio un "compito pastorale", da svolgere "sotto la guida del presule" e che consiste nel "diffondere la chiamata alla santità nel mondo, attraverso la santificazione del lavoro e degli impegni familiari e sociali, per mezzo del clero incardinato in essa e con la cooperazione organica dei laici che si dedicano alle opere apostoliche".

Un compito che, proprio perché pastorale, non può che essere condiviso con i Pastori della Chiesa e che, in termini di contenuto, non si riferisce a specifiche categorie di soggetti, ma coinvolge tutti i fedeli, chiamati alla santità in virtù del Battesimo e non in ragione di una particolare scelta di vita.

L'autoreGiuseppe Comotti

Professore di diritto canonico e diritto ecclesiastico

Università di Verona

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