Papa Francesco ha commentato un passo del Vangelo di domenica, evidenziando una "reazione piuttosto insolita di Gesù: si indigna".
Francesco aggiunge che "la cosa più sorprendente è che la sua indignazione non è causata dai farisei che lo mettono alla prova con domande sulla liceità del divorzio, ma dai suoi discepoli che, per proteggerlo dalla folla, sgridano alcuni bambini che erano stati portati a Gesù. In altre parole, il Signore non si indigna con chi discute con Lui, ma con chi, per alleviare la sua stanchezza, allontana i figli da Lui. Perché?".
"Ricordiamo", dice, "- era il Vangelo di due domeniche fa - che Gesù, compiendo il gesto di abbracciare un bambino, si era identificato con i piccoli: aveva insegnato che proprio i piccoli, cioè coloro che dipendono dagli altri, coloro che sono nel bisogno e non possono ricambiare, devono essere serviti per primi (cfr. Mc 9,35-37). Chi cerca Dio lo trova lì, nei piccoli, in coloro che hanno bisogno non solo di beni, ma anche di cure e di conforto, come i malati, gli umiliati, i prigionieri, gli immigrati, i carcerati. È lì che si trova Lui. Per questo Gesù si indigna: ogni affronto fatto a un piccolo, a un povero, a una persona indifesa, è fatto a Lui".
"Oggi il Signore riprende questo insegnamento e lo completa. Infatti, aggiunge: "Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso" (Mc 10,15). Questa è la novità: il discepolo non deve solo servire i piccoli, ma deve anche servire i bambini. riconoscersi piccolo. Sapere di essere piccoli, sapere di essere bisognosi di salvezza, è indispensabile per accogliere il Signore. È il primo passo per aprirci a Lui. Tuttavia, spesso lo dimentichiamo. Nella prosperità, nel benessere, viviamo nell'illusione di essere autosufficienti, di bastare a noi stessi, di non avere bisogno di Dio. È un inganno, perché ognuno di noi è un piccolo essere bisognoso.
"Nella vita", continua il Papa, "riconoscersi piccoli è il punto di partenza per diventare grandi. Se ci pensiamo bene, cresciamo non tanto attraverso i nostri successi e le cose che abbiamo, ma soprattutto nei momenti di lotta e di fragilità. È lì, nel bisogno, che maturiamo; è lì che apriamo il nostro cuore a Dio, agli altri, al senso della vita. Quando ci sentiamo piccoli di fronte a un problema, a una croce, a una malattia, quando sperimentiamo la fatica e la solitudine, non perdiamoci d'animo. Cade la maschera della superficialità e riemerge la nostra radicale fragilità: è il nostro terreno comune, il nostro tesoro, perché è il nostro terreno comune, il nostro tesoro perché è il nostro terreno comune, il nostro tesoro perché è il nostro terreno comune. Con Dio, le debolezze non sono ostacoli, ma opportunità.
"Infatti", conclude il Papa, "è proprio nella fragilità che scopriamo quanto Dio si prende cura di noi. Il Vangelo di oggi dice che Gesù è molto tenero con i piccoli: "Li abbracciò e li benedisse, imponendo loro le mani" (v. 16). Le battute d'arresto, le situazioni che rivelano la nostra fragilità, sono occasioni privilegiate per sperimentare il suo amore. Chi prega con perseveranza lo sa bene: nei momenti di oscurità o di solitudine, la tenerezza di Dio verso di noi diventa - per così dire - ancora più presente. Ci dà pace, ci fa crescere. Nella preghiera, il Signore ci abbraccia come un padre abbraccia il suo bambino. In questo modo diventiamo grandi: non con l'illusoria pretesa della nostra autosufficienza, ma con la forza di riporre ogni speranza nel Padre. Proprio come fanno i più piccoli.