Vaticano

Aggiornare la comunicazione della Chiesa, conversazione con Massimiliano Padula

Secondo Massimiliano Padula, sociologo della Pontificia Università Lateranense, la Chiesa oggi è chiamata a promuovere un itinerario culturale che aiuti i fedeli a comprendere tempi, luoghi, linguaggi e codici della cultura digitale.

Giovanni Tridente-27 novembre 2024-Tempo di lettura: 4 minuti
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Giovedì 28 novembre, il Pontificia Università Lateranense di Roma organizza un seminario a 20 anni dalla pubblicazione di "Comunicazione e Missione", il Direttorio della Conferenza Episcopale Italiana sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa. Il Documento è nato in un contesto storico in cui si cominciava a parlare di professionalizzazione della comunicazione e ha rappresentato un impulso decisivo per molte realtà ecclesiali a iniziare a investire in questo campo.

A distanza di due decenni, facciamo il punto con Massimiliano Padula, sociologo dei processi culturali e comunicativi che insegna Scienze della Comunicazione Sociale all'Università Lateranense, per capire quale impatto può ancora avere questo documento sulle realtà ecclesiali di altri Paesi.

Da dove nasce l'idea di "celebrare" il 20° anniversario di un documento pionieristico relativo alla comunicazione della Chiesa?

- L'evento nasce da una duplice esigenza. Innanzitutto riflettere sull'intenzione pastorale che ha determinato l'impulso a pensarlo, scriverlo e pubblicarlo: offrire alle realtà ecclesiali un'occasione per rimettere a fuoco il ruolo della donna nella Chiesa. comunicazioni socialima anche nei cambiamenti che stavano avvenendo nel mondo contemporaneo in quel periodo. Il desiderio dei vescovi italiani era quello di incoraggiare un vero e proprio cambiamento di mentalità e di disposizione nel modo di percepire e vivere la missione nella Chiesa nel contesto della cultura mediatica.

La seconda esigenza riguarda il suo aggiornamento nel mondo digitale contemporaneo, e questo non riguarda solo l'Italia, ma la Chiesa universale. Nel 2004, nonostante la progressiva diffusione di Internet, la scena mediatica era prevalentemente caratterizzata da quelli che oggi chiamiamo "media tradizionali". Televisione, radio, giornali e case editrici hanno continuato ad avere un profondo impatto sull'opinione pubblica.

Oggi, con il web, le differenze nazionali sono molto meno evidenti ed è quindi necessario sviluppare progetti e processi di comunicazione integrati e globali che, pur con i necessari adattamenti, siano rivolti a tutte le realtà ecclesiali.

Quali innovazioni sono state decisive per gli organismi coinvolti nella comunicazione a livello ecclesiastico?

- Chiunque in Italia si sia occupato di comunicazione in ambito religioso ha probabilmente "incontrato" il Direttorio, lo ha studiato e ne ha più o meno messo in pratica le linee guida. Poi ha superato i confini italiani per diventare - anche per altre chiese - una fonte di ispirazione e un modello di pensiero cristiano e di pratiche comunicative efficaci.

L'innovazione principale è quindi quella di aver dato dignità teologico-pastorale alla comunicazione. Da molti anni, infatti, il mondo cattolico (conferenze episcopali, diocesi, comunità religiose) sta investendo nella comunicazione, attuando molte delle iniziative previste dal Documento. Tra queste, il rinnovamento della catechesi e dell'educazione alla fede, il sostegno alla formazione tecnologica, il miglioramento della sinergia tra media nazionali e locali, la rigenerazione delle sale parrocchiali, la delineazione del profilo del cosiddetto "animatore della cultura e della comunicazione".

Quest'ultimo, in particolare, ha rappresentato un'importante novità: si tratta di un vero e proprio "ministero" che, accanto ai ruoli riconosciuti di catechista, animatore della liturgia e della carità, ha il compito di coordinare la pastorale della cultura e della comunicazione nelle diocesi, nelle parrocchie e nelle comunità religiose.

In 20 anni il panorama della comunicazione è profondamente cambiato: quali prospettive deve aggiornare l'Annuario?

- Se da un lato ritengo che i tempi siano maturi per una sua revisione, dall'altro sono convinto che la parola "annuario" abbia ormai perso un po' di efficacia. Infatti, si riferisce a qualcosa di stabilito, indicativo, poco flessibile. Lo stesso vale per i decaloghi o i manifesti, che hanno certamente proposizioni degne di nota, ma rischiano di ridurre le buone idee e le pratiche a semplici slogan. Ciò è ancora più evidente nell'odierno universo digitale, difficile da intercettare, comprendere e delimitare.

Di conseguenza, credo che oggi la Chiesa universale, messa alla prova da contingenze come la secolarizzazione, più che proporre precetti ideali, dovrebbe favorire un itinerario culturale che aiuti i fedeli a comprendere tempi, luoghi, linguaggi e codici della cultura digitale.

E questo si può fare inquadrando la pastorale digitale non come un ambito pastorale specifico, ma come una dimensione trasversale dell'azione ecclesiale. Oggi, infatti, digitale non significa solo comunicazione, ma "tocca" la liturgia, la catechesi, i giovani, la famiglia, il sociale, l'insegnamento della religione e tutto ciò che una Chiesa vive come servizio al popolo di Dio.

Infine, una riflessione sulla cultura digitale e sull'intelligenza artificiale: come possono le parrocchie, le diocesi, le comunità religiose e le chiese nazionali vivere questi nuovi processi per evangelizzare e costruire il bene comune?

- Nel Messaggio per la 53ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2019, Papa Francesco ha scritto quanto sia fondamentale passare - quando si tratta di social network - dalla diagnosi alla terapia, preferendo alla logica effimera del like quella dell'amen, fondata sulla verità e "con la quale ciascuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri".

Quindi, va bene creare possibilità e interrelazioni con questi temi, così come è importante essere formati su di essi, ma credo che oggi uno dei compiti della chiesa come istituzione, ma anche di ogni donna e uomo di buona volontà, sia quello di riprendere coscienza della Grazia dell'umanità stessa e di riaffermarne la bellezza anche negli spazi di programmazione online o algoritmici.

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