Durante la fase più dura della pandemia di Covid, i vescovi della Chiesa cilena, seguendo le istruzioni del Ministero della Salute, hanno dato una serie di indicazioni sulle cerimonie liturgiche: i fedeli sono stati esentati dal precetto domenicale, sono state stabilite misure preventive come l'uso obbligatorio di maschere, la distanza fisica all'interno delle chiese, la soppressione del saluto di pace, la somministrazione della Comunione nella mano, il rispetto della capacità delle celebrazioni, ecc.
Una violazione dei diritti
Nella cosiddetta fase 1 (quarantena), tutti i cittadini devono rimanere a casa per l'intera settimana, ad eccezione di coloro che hanno un permesso esplicito per il lavoro o per attività essenziali (spesa al supermercato e in farmacia, funerali, ore di medicina, ecc.) e, inoltre, sono vietate le Messe con la presenza di fedeli.
Lo scorso 12 marzo, il governo ha esteso il divieto di celebrare la Messa di persona ai comuni della fase 2 (libertà di movimento dal lunedì al venerdì e quarantena nei fine settimana e nei giorni festivi). La Conferenza episcopale ha immediatamente sollevato una forte protesta pubblica per l'ingiusta violazione della libertà religiosa. Il giorno successivo il Ministero della Salute ha riconosciuto il proprio errore e ha annullato la misura.
Richiesta di protezione
Allo stesso tempo, la Corporazione "Comunità e Giustizia" si è rivolta alla Corte d'Appello chiedendo di tutelare la libertà religiosa garantita dalla Costituzione del Paese, in quanto il divieto per i cattolici di partecipare alla Messa viola "il diritto al libero esercizio del culto". Il tribunale ha respinto il ricorso, affermando che è sufficiente che i cattolici partecipino alla Messa online.
Comunità e Giustizia ha quindi presentato ricorso alla Corte Suprema contro il Ministro della Salute per l'atto illegale e arbitrario di estendere il divieto di manifestazioni pubbliche, applicabile ai comuni in quarantena e, nei giorni lavorativi dei comuni della fase 2, alle Messe e ad altre funzioni religiose. Hanno sottolineato che, sebbene il Ministero della Salute possa limitare alcuni diritti, "ciò non lo autorizza a sospenderli o a colpirli nella loro essenza, come di fatto avviene impedendo ai cattolici di partecipare alla Messa (...), violando il loro diritto al libero esercizio del culto, garantito dalla Costituzione".
La sentenza della Corte Suprema
Il vescovo di San Bernardo, Juan Ignacio González, in qualità di avvocato, ha redatto una relazione alla Corte per respingere i divieti. Ha chiesto di chiarire "se la stessa autorità dei tribunali, come è accaduto (ad Arica e Concepción), può indicare che la partecipazione telematica a un atto religioso è sufficiente a soddisfare il bisogno spirituale di una persona".
Ignacio Covarrubias, preside della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Finis Terrae, è d'accordo, sottolineando che la libertà di culto "nel caso dei cattolici è un diritto sensibile che non può essere messo sullo stesso piano di altri diritti come la libertà di movimento o di commercio".
Il 24 marzo, con una sentenza unanime, la Corte Suprema ha stabilito che le persone in fase 1 (quarantena) o in fase 2 possono partecipare a tali cerimonie religiose, a condizione che venga rispettata la capacità stabilita dall'autorità sanitaria.