Vaticano

Il Papa ribadisce: i beni della Santa Sede hanno destinazione universale

Il Papa insiste sul fatto che i beni acquisiti dalle istituzioni della Santa Sede appartengono alla Santa Sede e devono essere utilizzati per raggiungere gli obiettivi della Chiesa universale. Questo principio non è nuovo, ma implica l'abbandono del precedente principio della diversificazione delle risorse.

Andrea Gagliarducci-25 febbraio 2023-Tempo di lettura: 5 minuti
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Torre dell'Istituto delle Opere di Religione (CNS Photo/ Vatican Media)

I beni della Santa Sede appartengono alla Santa Sede. Sembra un'affermazione tautologica, ma è ciò che il motu proprio sottolinea in ultima analisi".La legge dei nativi"("Il diritto originario"), promulgato da Papa Francesco il 23 febbraio, che ribadisce semplicemente che nessun ente vaticano o legato al Vaticano può considerare i beni come propri, ma che tutti gli enti devono avere chiaro che ciò che effettivamente possiedono fa parte di un perimetro più ampio.

A cosa serve il motu proprio

Se il "motu proprio" serviva solo a ribadire un concetto già ben definito, perché allora era necessario che il Papa promulgasse un altro documento? 

È una domanda legittima, che apre a molte risposte. 

Innanzitutto, Papa Francesco aveva avviato un progressivo accentramento della gestione del patrimonio della Santa Sede, secondo un progetto che era già del cardinale George Pell come Prefetto della Segreteria per l'Economia. 

Già nel dicembre 2020, Papa Francesco aveva deciso che la gestione dei beni solitamente amministrati dalla Segreteria di Stato sarebbe passata nelle mani dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, una sorta di "banca centrale" del Vaticano.

Poi, con la costituzione apostolica "Praedicate Evangelium"Papa Francesco ha stabilito un principio di centralizzazione, che si è poi concretizzato con un "rescriptum" (una nota scritta dal Papa di suo pugno) dell'agosto 2023. Questo rescritto stabiliva che "tutte le risorse finanziarie della Santa Sede e delle istituzioni ad essa collegate devono essere trasferite all'Istituto per le Opere di Religione, che deve essere considerato l'unico ed esclusivo organismo dedicato all'attività di gestione patrimoniale e di deposito del patrimonio mobile della Santa Sede e delle istituzioni ad essa collegate".

Un'unica gestione, un'unica istituzione finanziaria collegata (lo IOR, va ricordato, non è una banca). In questo modo, il Papa intendeva anche rispondere a diverse situazioni che si erano presentate nel corso degli anni e, in particolare, a quelle che si sarebbero presentate durante il processo di gestione dei fondi della Segreteria di Stato.

La situazione precedente

Facciamo alcuni esempi concreti di ciò che è cambiato. La Segreteria di Stato aveva una gestione personale delle proprie risorse, in quanto organo di governo, e aveva sempre investito utilizzando conti correnti presso istituzioni finanziarie internazionali, come il Credit Suisse, pur mantenendo la propria autonomia e la propria raccolta fondi personale.

Il Dicastero per l'Evangelizzazione dei Popoli, già dalla sua fondazione come "Propaganda Fide" 400 anni fa, era dotato di piena autonomia finanziaria, in modo da poter gestire liberamente i fondi per le missioni.

La gestione delle risorse del Governatorato era un bilancio a sé stante - e infatti non esiste un bilancio del Governatorato dal 2015, nonostante i numerosi bilanci pubblicati negli ultimi anni dalla Santa Sede - ed era un'amministrazione che non solo investiva, ma poteva contare su una grande liquidità grazie alle entrate dei Musei Vaticani. Il grande progetto era quello di avere un bilancio consolidato di Curia e Governatorato insieme. 

La realtà è che è stata proprio questa liquidità a coprire in parte le perdite della Santa Sede, il cui "bilancio di missione" - come lo ha definito l'ex prefetto della Segreteria per l'Economia, Juan Antonio Guerrero Alves - non genera profitti, ma soprattutto spese, come gli stipendi.

Così come è stata l'Obbligazione di San Pietro a sopportare parte delle perdite, senza considerare la donazione di gran parte dei suoi profitti che lo IOR faceva ogni anno e che, in ogni caso, è diminuita drasticamente nel corso degli anni insieme al calo dei profitti. 

In definitiva, in molti casi la gestione era separata e i benefici andavano solo all'entità che investiva o assegnava le risorse. Papa Francesco accentra il controllo, in modo che tutti gli investimenti passino attraverso un organismo centrale e siano gestiti in ultima istanza da un fondo sovrano, ed elimina qualsiasi forma di autonomia gestionale. Allo stesso tempo, ribadisce che il patrimonio della Chiesa non può essere considerato personale, e quindi risponde anche a una certa lentezza nel gestire il trasferimento della gestione delle risorse allo IOR. Si tratta di una misura che completa una riforma da lui molto voluta. 

Cosa dice il "motu proprio"

Ma entriamo nel dettaglio del motu proprio. In esso si afferma che "tutti i beni, mobili e immobili, comprese le disponibilità liquide e i titoli, che sono stati o saranno acquisiti, a qualsiasi titolo, dalle Istituzioni curiali e dagli Enti collegati alla Santa Sede, sono beni pubblici ecclesiastici e, come tali, di proprietà, a titolo di proprietà o di altro diritto reale, della Santa Sede nel suo complesso e, pertanto, appartenenti, indipendentemente dal potere civile, al suo patrimonio unitario, indivisibile e sovrano".

Per questo motivo, prosegue, "nessuna Istituzione o Ente può, quindi, rivendicare la proprietà o la titolarità privata ed esclusiva dei beni della Santa Sede, avendo sempre agito e agisce in nome, per conto e ai fini della Santa Sede nel suo complesso, intesa come persona morale unitaria, rappresentandola solo dove richiesto e consentito dalle leggi civili".

Il "motu proprio" chiarisce anche che "i beni sono affidati alle Istituzioni e agli Enti affinché, in quanto amministratori pubblici e non proprietari, ne facciano uso secondo le norme vigenti, nel rispetto e nei limiti dati dalle competenze e dai fini istituzionali di ciascuno, sempre per il bene comune della Chiesa".

I beni della Santa Sede "sono di natura ecclesiastica pubblica", e sono considerati beni a destinazione universale, e "gli enti della Santa Sede li acquistano e li utilizzano, non per se stessi, come il privato proprietario, ma in nome e per l'autorità del Romano Pontefice, per il perseguimento dei loro fini istituzionali, anch'essi pubblici, e quindi per il bene comune e a servizio della Chiesa universale".

Una volta affidati, afferma infine il motu proprio, "gli enti devono amministrarli con la prudenza richiesta dalla gestione del bene comune e secondo le norme e le competenze che la Santa Sede si è data recentemente con la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium e, ancor prima, con il lungo cammino delle riforme economiche e amministrative".

Quello del Papa è anche un invito alla gestione prudente, contenuto nel motu proprio "Fidelis Dispensator et Prudens" del 24 febbraio 2014, con cui Papa Francesco ha avviato la grande riforma dell'economia vaticana.

Con questo "motu proprio", tuttavia, viene abbandonato un principio che aveva governato le finanze vaticane nell'era moderna: la diversificazione degli investimenti e delle risorse, delineata in modo da consentire l'autonomia della Santa Sede.

Il prossimo passo potrebbe essere la creazione di un fondo sovrano, secondo un primo progetto chiamato "Vatican Asset Management", che ora dovrebbe essere gestito dalla Segreteria di Stato, e lo sviluppo dell'Istituto per le Opere di Religione verso alcune delle funzioni di una banca moderna (lo IOR non è una banca, non ha filiali fuori dal Vaticano).

L'autoreAndrea Gagliarducci

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