La Chiesa cattolica sta per celebrare l'inizio di un nuovo anno liturgico, segnato dal periodo dell'Avvento. Il termine, derivato dal latino adventussignifica la venuta del Signore e, per estensione, l'attesa di tale venuta.
Il periodo dell'Avvento è chiamato anche tempus ante natale Domini (tempo che precede il Natale) ed è presente nella liturgia cattolica dal VII secolo d.C.. Fu in particolare Papa Gregorio Magno a fissare le domeniche di Avvento come quattro domeniche che simboleggiano i quattromila anni durante i quali l'umanità, secondo l'interpretazione di allora, dovette attendere la venuta del Salvatore dopo aver commesso il peccato originale.
In attesa di un messia
In un articolo precedente, abbiamo illustrato la complessità del mondo ebraico al tempo di Cristo, sottolineando come quel particolare momento storico fosse caratterizzato dall'attesa di un liberatore, un unto di Dio onnipotente che, come aveva fatto con Mosè, Dio stesso avrebbe suscitato per liberare il suo popolo dalla schiavitù e dalla dominazione straniera. A differenza di Mosè, tuttavia, il regno di questo unto di Dio, questo Messia (מָשִׁיחַ, Mašīaḥ in ebraico e Χριστός, Christós in greco: entrambi i termini significano "unto", in quanto unto dal Signore proprio come i re a partire da Saul e dal suo successore Davide) non avrebbe avuto fine e sarebbe stato non solo un profeta, ma, come testimoniano i Rotoli del Mar Morto e le aspettative degli Esseni di Qumran, un re pastore e un sacerdote.
Questa attesa, negli anni immediatamente precedenti la nascita di Cristo, si fece sempre più ansiosa: fiorirono ovunque presunti messia e, con essi, rivolte che venivano sistematicamente represse con il sangue (si ricordi quella di Giuda il galileo (anni 6-7 a.C.); ma fiorirono anche comunità pie che, in virtù di una profezia ben precisa, attendevano l'avvento di un liberatore. Sappiamo però che in quel periodo di grande stabilità per l'Impero romano, ma di fervida attesa per il popolo d'Israele, l'attenzione di tutti in quel piccolo angolo di mondo era concentrata sull'imminente arrivo di un liberatore: era sempre stato così?
In effetti, l'attesa di un sovrano mondiale durò per diversi secoli. Il primo accenno si trova addirittura nel libro della Genesi (49:10), dove Giacobbe proclama ai suoi figli che
Lo scettro non si staccherà da Giuda, né la verga dai suoi piedi, finché non venga colui al quale appartiene, e a lui andrà l'obbedienza dei popoli.
Nel corso del tempo, quindi, l'idea di un unto del Signore che avrebbe governato su Israele si intensificò e divenne sempre più precisa: questo unto, questo Messia, sarebbe stato un discendente di Giuda, attraverso il re Davide. Tuttavia, nel 587 a.C. si verifica la prima grande delusione: la presa di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor, che distrugge il tempio, saccheggia gli arredi sacri, deporta il popolo di Giuda a Babilonia e pone fine alla dinastia dei re discendenti da Davide. Eppure qui un profeta di nome Daniele, l'ultimo profeta dell'Antico Testamento, profetizza che il Messia verrà. Infatti, la sua è chiamata la Magna Prophetia: in essa (cap. 2) proclama che
Il Dio del cielo instaurerà un regno che non sarà mai distrutto e non passerà ad altri popoli: schiaccerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre questo durerà per sempre.
Non solo: nel capitolo 7 si specifica che colui che verrà sarà "simile al Figlio dell'uomo" (nel Vangelo di Matteo, quello destinato alle comunità ebraiche di Palestina, Gesù usa per circa 30 volte un'espressione simile, "figlio dell'uomo", che in precedenza era stata usata solo ed esclusivamente da Daniele).
Nel capitolo 9, poi, la profezia si realizza anche in termini temporali:
Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua città santa, per porre fine all'empietà, per sigillare i peccati, per espiare l'iniquità, per stabilire la giustizia eterna, per sigillare la visione e la profezia e per ungere il Santo dei Santi. Sappiatelo e comprendetelo bene: dal momento in cui la parola del ritorno e della ricostruzione di Gerusalemme è passata a un principe unto, ci saranno sette settimane.
Come possiamo vedere, la profezia appena citata è estremamente accurata. Tuttavia, l'esatta traduzione italiana del termine ebraico שָׁבֻעִ֨ים (šavū‛īm, "šavū‛" che indica il numero 7 e "īm" come desinenza plurale maschile) non dovrebbe essere "settimane" (che invece è שבועות, cioè šavū‛ōt, dove "ōt" rappresenta la desinenza femminile plurale), ma "settenari": in pratica, settanta volte sette anni".
Gli ebrei contemporanei di Gesù avevano compreso correttamente il passo, ma gli studiosi contemporanei non riuscivano a capire l'esatto conteggio dei tempi di Daniele: da quando iniziava il conteggio dei settant'anni?
Recenti scoperte a Qumran hanno dimostrato che non solo le Scritture ebraiche erano già perfettamente formate nel I secolo d.C. e identiche a quelle che leggiamo oggi, ma anche che gli Esseni, come molti loro contemporanei, avevano calcolato i tempi della Magna Profezia: secondo Hugh Schonfield, grande specialista nello studio dei Rotoli del Mar Morto, gli Esseni avrebbero calcolato i settanta settenari (490 anni) a partire dal "Decreto di Ciro" (che permetteva agli ebrei di ritornare a Gerusalemme dopo la conquista di Babilonia da parte del re persiano) o dal 515 a.C. (Fondazione del Secondo Tempio)
Il culmine sarebbe avvenuto nel 26 a.C., l'inizio, secondo loro, dell'era messianica e il motivo per cui, a partire da quella data, gli scavi archeologici mostrano un aumento dell'attività abitativa e costruttiva a Qumran, indicando che molte persone vi si trasferirono per attendere la venuta del Messia.
Non erano però solo gli ebrei della terra d'Israele a tramare letteralmente un'attesa che li riempiva di speranza e di fermento. Anche Tacito e Svetonio, il primo nelle sue Historiæ e il secondo nella sua Vita di Vespasiano, riferiscono che molti in Oriente si aspettavano, secondo i loro scritti, che un sovrano venisse dalla Giudea.
Una stella in Oriente
Ed è proprio in Oriente che troviamo un altro elemento che ci aiuta a capire perché l'attesa messianica fosse così fervente all'inizio del secolo: il fatto che anche in altre culture si attendeva l'avvento di quel "sovrano" di cui persino Roma aveva sentito parlare.
Gli astrologi babilonesi e persiani, infatti, lo aspettavano intorno al 7 o al 6 a.C. (oggi gli studiosi accettano quasi universalmente che l'anno di nascita di Gesù sia il 6 a.C., a causa di un errore del monaco Dionigi il Minore che, nel 533, calcolò l'inizio dell'Era Volgare dalla nascita di Cristo, ritardandola però di circa sei anni).
Perché proprio in quell'intervallo di tempo? A causa del sorgere di una stella, come sappiamo dal Vangelo di Matteo (cap. 2). Ma è davvero nata una stella? A questa domanda sembra aver risposto inizialmente l'astronomo Keplero, che nel 1603 osservò un fenomeno molto luminoso: l'avvicinamento, o congiunzione, dei pianeti Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci. Keplero fa quindi alcuni calcoli e stabilisce che la stessa congiunzione si sarebbe verificata nell'anno 7 a.C.. Trova poi un antico commento rabbinico, che sottolinea come la venuta del Messia sarebbe avvenuta proprio al momento di quella stessa congiunzione astrale.
Tuttavia, nessuno credette all'intuizione di Keplero, anche perché all'epoca si pensava ancora che Gesù fosse nato nell'anno 0, quindi il 7 a.C. non fece impressione a nessuno. Solo nel XVIII secolo un altro studioso, Friederich Christian Münter, luterano e massone, decifrò un commento al libro di Daniele, lo stesso dei "settanta settenari", che confermava la credenza ebraica già portata alla luce da Keplero da un'altra fonte.
Tuttavia, solo nel XIX secolo il fenomeno astronomico osservato da Keplero fu confermato, prima dagli astronomi dell'Ottocento e poi grazie alla pubblicazione di due importanti documenti la Tavola Planetaria, nel 1902, un papiro egiziano in cui sono accuratamente registrati i movimenti planetari, in cui gli studiosi dell'epoca riportarono, per osservazione diretta, la congiunzione Giove-Saturno nella costellazione dei Pesci, che a loro dire era estremamente luminosa; il Calendario stellare di Sippar, una tavoletta terrestre scritta in caratteri cuneiformi, di origine babilonese, che riporta i movimenti degli astri nell'anno 7 a.C.C., con precisione. C., poiché secondo gli astronomi babilonesi questa congiunzione si sarebbe verificata tre volte in quell'anno (il 29 maggio, il 1° ottobre e il 5 dicembre), mentre, secondo i calcoli, lo stesso evento si sarebbe verificato ordinariamente una volta ogni 794 anni.
Così, nel simbolismo babilonese, Giove rappresentava il pianeta dei governanti del mondo, Saturno il pianeta protettore di Israele e la costellazione dei Pesci era il segno dei tempi finali. Non è quindi così assurdo pensare che i Magi (o Mazdei) d'Oriente si aspettassero, avendo saputo prevedere con sorprendente chiaroveggenza, l'arrivo di qualcosa di speciale.
Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.