Cultura

Albania, il paese delle aquile

Gerardo Ferrara inizia una serie di due articoli sull'Albania. In questa prima puntata, l'autore analizza la storia del Paese delle aquile.

Gerardo Ferrara-19 ottobre 2024-Tempo di lettura: 7 minuti
Albania

Assemblea nazionale dell'Albania (Wikimedia Commons / Pasztilla aka Akila Terbócs)

Due anni fa ho avuto il piacere e l’onore di intervistare Mons. Arjan Dodaj, arcivescovo metropolita della diocesi di Tirana, in Albania. È stata una bellissima opportunità che mi ha consentito di conoscere la storia di un uomo eccezionale e di avvicinarmi un po’ di più a un Paese che, per noi italiani, è molto importante.

All’Albania ci lega, infatti, oltre alla vicinanza geografica, tutta una serie di vicende, non sempre felici, che comunque hanno rafforzato le nostre relazioni. La maggioranza degli albanesi, poi, conosce perfettamente l’italiano e segue i canali televisivi dell’Italia. Cosa ancor più significativa, in diverse regioni italiane sono presenti antichi villaggi e paesi fondati da esuli albanesi fuggiti dal loro Paese tra il XV e il XVIII secolo, in seguito alla conquista ottomana dei territori bizantini. Questa minoranza etno-linguistica, di circa 100 mila individui, è ben radicata al sud Italia e conserva ancora la lingua albanese antica e il rito bizantino, tanto da non afferire alle diocesi locali ma da avere delle proprie eparchie immediatamente soggette alla Santa Sede.

Eppure, pur avendo a pochi km dal mio paese d’origine, Sant’Arcangelo, in Basilicata, diversi paesi di lingua e cultura albanesi (come San Costantino albanese e San Paolo albanese).

È solamente nel 1990, quando avevo 11 anni, che ho sentito parlare per la prima volta dell’Albania. Era la prima volta che l’Italia sperimentava l’immigrazione di massa e noi guardavamo attoniti, in televisione, i barconi che solcavano l’Adriatico e lo Ionio stracarichi di persone stipate nelle stive, sui ponti, aggrappati alle ringhiere. Riempivano ogni spazio, ogni anfratto pur di sfuggire alla povertà e all’incertezza che regnavano nel loro Paese dopo la caduta del regime comunista che li aveva oppressi per decenni.

Figli dell'Aquila

L’Albania, nella parte occidentale della penisola balcanica, è un Paese molto piccolo, sebbene genti di lingua albanese popolino anche Paesi vicini, come la regione contesa del Kosovo, oppure il Montenegro e la Macedonia del Nord (ove costituiscono una cospicua minoranza) e la Grecia. Con una superficie di 28.748 km², confina con il Montenegro a nord, con il Kosovo a nord-est, con la Macedonia del Nord a est, con la Grecia a sud. A ovest si affaccia sul mare Adriatico e a sud-ovest sullo Ionio.

È chiamata regno delle aquile perché il toponimo moderno del Paese, Shqipëria, in albanese significa “nido delle aquile” e i suoi abitanti sono detti “shqiptar”, “figli dell’aquila” (anche la bandiera albanese raffigura un’aquila nera bicefala su sfondo rosso, dallo stendardo bizantino, il che rimanda al legame fortissimo degli albanesi con Bisanzio). Questo toponimo, tuttavia, ha iniziato a essere utilizzato durante il periodo di dominazione ottomana. In epoca medievale, infatti, si usavano i termini “Arban” e “Arbër” (probabilmente da Albanopolis, poi divenuta Arbanon, una città dell’antica Illiria nei pressi dell’odierna Durazzo). Prima ancora, invece, il territorio dell’attuale Albania era parte dell’Illiria, una zona più ampia che copriva una parte della costa adriatica balcanica, dal sud della Dalmazia fino al nord della Grecia, nei pressi dell’Epiro.

Dagli Illiri ai Romani e ai Bizantini

L’Albania è stata abitata sin dalla preistoria (dal Neolitico in particolare). Vi sono tracce della presenza di varie popolazioni, soprattutto di lingua indoeuropea, ma la civiltà caratteristica di questa zona d’Europa fu quella degli illiri, a loro volta divisi in diverse tribù spesso in contrasto fra loro (albanoi, amantini, dardani e altri) che parlavano appunto la lingua illirica, un idioma scarsamente attestato ma dalla chiara origine indoeuropea (non è comunque chiaro se l’albanese moderno sia in qualche modo imparentato con l’antica lingua illirica). Popolazioni di stirpe illirica si spinsero fino in Italia (gli iapigi di Puglia, ad esempio, erano di provenienza illirica).

Gli illiri, popolo fiero e bellicoso, erano divisi in varie entità autonome e, pur subendo l’influenza greca (i greci avevano fondato diverse colonie in Illiria, tra cui Apollonia, Epidamnos-Dyrrachion – l’attuale Durazzo – e Lissos, l’odierna Alessio) seppero mantenere la propria indipendenza e resistere a lungo alle invasioni straniere, almeno fino al II secolo a.C., quando i romani condussero una serie di campagne per conquistare il loro territorio, che divenne parte dei domini romani nel 168 a.C. come provincia d’Illiria (Illyricum).

Durante il periodo romano, città locali come Durazzo (Dyrrachium) e Butrinto (Buthrotum), di cui è possibile ammirare l’imponente parco archeologico, furono importanti centri commerciali e militari.

Dopo la spartizione dell’Impero romano, l’Albania divenne parte dell’Impero romano d’Oriente, o Impero bizantino. In quest’epoca la regione fu invasa da diverse popolazioni, tra cui slavi e visigoti, che mutarono in parte la composizione etnica del territorio.

Proprio la posizione a cavallo tra oriente e occidente, e tra le due parti dell’Impero romano, fece sì che l’Albania divenisse una terra d’incontro tra civiltà e tradizioni diverse.

Pur rimanendo infatti predominante l’influenza bizantina, emersero con il tempo piccoli principati e regni locali (tra cui il Principato di Arbanon) che, con la consueta fierezza albanese, cercarono di affermare la propria indipendenza da Costantinopoli. Tra il XII e il XIV secolo, il Paese fu poi invaso e occupato da varie potenze regionali, inclusi i normanni e i serbi.

L'eroe nazionale: Scanderbeg

Nel XIV secolo, l’Impero ottomano iniziò a espandersi nei Balcani, compresa l’Albania. Qui, però, i turchi incontrarono la tenace resistenza del popolo albanese, con alla sua testa un condottiero, chiamato Giorgio Castriota ma soprannominato Scanderbeg, un nobile albanese cristiano che, dopo aver servito come generale ottomano, si ribellò contro la Sublime Porta e guidò una lunga e strenua resistenza dal 1443 al 1468.

Fu il primo a riuscire nell’intento di unificare numerosi clan albanesi e a difendere con successo il territorio per oltre due decenni, ottenendo anche il sostegno di potenze europee come il Regno di Napoli e la Repubblica di Venezia. Le sue gesta furono celebrate anche in Occidente, tanto che il grande compositore italiano Antonio Vivaldi compose un’opera dedicata a lui e papa Callisto III fregiò per lui l’appellativo di Athleta Christi et Defensor Fidei (Atleta di Cristo e Difensore della Fede), mentre Pio II quello di “nuovo Alessandro” (in riferimento ad Alessandro Magno).

Scanderbeg divenne una sorta di Cid Campeador per il popolo albanese, che anelava a essere libero e indipendente, ma soprattutto per gli esuli, i numerosi albanesi che, dopo la sua morte e la conquista definitiva del Paese da parte degli ottomani, furono costretti a fuggire in Italia, formando la diaspora albanese italiana.

L’Albania rimase oltre quattro secoli sotto il dominio della Sublime Porta, con notevoli ripercussioni sulla cultura, la religione (progressiva islamizzazione) e i costumi del Paese.

Albania contemporanea

Come altri Paesi dell’Europa orientale sotto il giogo ottomano (Bulgaria e Grecia in primis), anche in Albania, nel XIX secolo, si sviluppò un movimento nazionalista che mirava ad affrancare il Paese dal dominio della Sublime Porta, ma non solo. La Lega di Prizren, infatti, fondata il 10 giugno 1878 a Prizren (nell’attuale Kosovo), aveva come scopo quello di preservare i territori a maggioranza etnica albanese (e di religione prevalentemente islamica) assegnati ad altre province ottomane o ad altri Stati (Grecia, Montenegro, Serbia) dai trattati di Santo Stefano e Berlino, per riunirli sotto un’unica amministrazione autonoma albanese (vilayet) all’interno dell’Impero Ottomano. Esponenti principali ne furono Abdyl e Sami Frashëri.

Nonostante la sconfitta nella Prima guerra balcanica (1912-1913), la Lega contribuì al risveglio della coscienza nazionale, influenzando il Rinascimento albanese e attirando l’attenzione delle potenze europee. Sciolta nel 1881, tentò invano di riorganizzarsi.

Il 28 novembre 1912, Ismail Qemali dichiarò finalmente l’indipendenza dell’Albania dalla Porta nella città di Valona, ma fu un’indipendenza breve e caratterizzata sin da subito da grandi difficoltà, tra cui l’intervento delle potenze europee che ridisegnarono i confini del Paese. Negli anni successivi, poi, la novella nazione dovette affrontare una notevole instabilità politica, di cui seppero approfittare gli italiani. L’Albania, infatti, divenne prima un protettorato italiano nel 1939, per essere poi occupata dall’esercito di Mussolini durante la Seconda guerra mondiale.

Enver Hoxha

Al termine della guerra, l’Albania, nuovamente indipendente, divenne uno Stato socialista sotto la guida di Enver Hoxha.

Hoxha instaurò uno dei regimi più repressivi del blocco comunista, reggendo il Paese con pugno di ferro fino alla sua morte nel 1985, imponendo alla nazione un rigidissimo isolamento internazionale (ruppe persino con i suoi alleati principali, l’Unione Sovietica nel 1961 e la Cina nel 1978) e un controllo totalitario su ogni aspetto della vita sociale, nella più totale autarchia ideologica e politica.

Il governo di Hoxha promosse pure l’ateismo di Stato, vietando le pratiche religiose (cristiane e islamiche) e chiudendo o distruggendo luoghi di culto come chiese e moschee. La repressione politica fu intensa, con arresti, esecuzioni sommarie e la creazione di campi di lavoro forzato ove dissidenti e oppositori trovavano spesso la morte per stenti. L’economia si basava su piani quinquennali di sviluppo e collettivizzazione forzata, ma lo sviluppo non arrivò mai, anzi, la povertà divenne sempre più diffusa.

Il regime comunista pretese di intervenire persino sulla lingua parlata dai cittadini, mettendo in atto una politica di centralizzazione e standardizzazione dell’albanese (tradizionalmente diviso in due dialetti, il tosco e il ghego), e imponendo l’utilizzo di uno dei due, il tosco, come forma ufficiale e scritta, con la marginalizzazione del ghego e di altre parlate. L’obiettivo era di uniformare culturalmente il Paese e rafforzare l’identità nazionale, eliminando le divisioni regionali e promuovendo l’uso della lingua albanese unificata come strumento di propaganda e controllo sociale.

L’isolamento dell’Albania si protrasse anche oltre la morte di Enver Hoxha nel 1985.

Transizione alla democrazia

Fu solo a partire dal 1991, infatti, cioè dopo la caduta del comunismo in Europa orientale, che il Paese iniziò una difficile transizione verso la democrazia e l’economia di mercato. Il periodo post-comunista è stato caratterizzato da instabilità politica e da una gravissima crisi economica e sociale culminata nelle rivolte del 1997.

Da allora, però, il Paese ha compiuto progressi significativi verso la stabilità politica e lo sviluppo economico, nonostante le controversie relative ai governi che vi si sono succeduti e alle piaghe della corruzione e del traffico di droga (in particolare marijuana), che aveva uno dei suoi più importanti centri a livello mondiale nella cittadina di Lazarat, nota come la capitale della marijuana dato che solo in questo villaggio ne venivano prodotte circa 900 tonnellate l’anno.

Solo nel 2014 l’attuale primo ministro albanese Edi Rama (esponente del Partito Socialista d’Albania e grande oppositore del predecessore Sali Berisha e del suo partito, il Partito Democratico d’Albania) ha ordinato la distruzione delle piantagioni di marijuana, facendo assediare Lazarat da 800 agenti dei reparti speciali e da due battaglioni dell’esercito.

L’Albania è oggi un Paese candidato all’adesione all’Unione Europea ed è membro della NATO dal 2009.

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