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Mons. Juan Ignacio ArrietaIl Codice di diritto canonico risponde ancora alle esigenze della Chiesa".

Il Segretario del Dicastero per i Testi Legislativi, monsignor Juan Ignacio Arrieta, evidenzia i punti chiave del Codice di Diritto Canonico che, quest'anno, celebra il suo 40° anniversario nella Chiesa cattolica.

Antonino Piccione-19 novembre 2023-Tempo di lettura: 3 minuti

Il vescovo Juan Ignacio Arrieta ©OSV/Paul Haring

Con la Costituzione Apostolica Sacrae Disciplinae Leges del 25 gennaio 1983, San Giovanni Paolo II ha dato il via libera alla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico (CIC). Questa norma, arricchita e aggiornata in vari punti, è quella che attualmente governa la Chiesa cattolica. In occasione di questo anniversario, l'Alma Mater Studiorum Università di Bologna ha ospitato un convegno per riflettere sul significato e sulle implicazioni di questa legislazione.

Il Cardinale Matteo Maria Zuppi (Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana), Dominique Mamberti (Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica) e Pietro Parolin (Segretario di Stato di Sua Santità Papa Francesco) sono state tra le personalità che hanno partecipato a questo incontro le cui conclusioni sono state affidate a Monsignor Juan Ignacio ArrietaOmnes ha potuto intervistare il Segretario del Dicastero per i testi legislativi. 

A In questi 40 anni, quali segni ha mostrato il codice e quale testimonianza ha offerto nel suo ruolo di disciplina della vita della Chiesa? 

-La Chiesa cattolica si presenta al mondo come una società organizzata all'interno di una realtà teologica, ma opera nella storia e non può fare a meno di un ordinamento giuridico. Un ordinamento giuridico molto particolare, proprio perché chiamato a essere coerente con la dimensione teologica della Chiesa.

A differenza del diritto statale, il diritto canonico ha la caratteristica dell'universalità, dovendo unificare culture e sensibilità diverse.

Questo è il senso del Codice di Diritto Canonico: sia il primo, quello del 1917-18, adottato per superare il vecchio sistema, molto articolato e di difficile applicazione; sia il secondo, concepito dopo il Concilio Vaticano II e promulgato nel 1983. Quest'ultimo codice si basa proprio su una profonda riflessione ecclesiologica per garantire una sostanziale stabilità e un quadro generale per quella che Papa Giovanni Paolo II ha definito la traduzione in termini giuridici della dottrina del Vaticano II. Con la possibilità per i vescovi di applicare le disposizioni contenute nel Codice secondo la loro cultura, in una prospettiva di decentramento nel quadro dell'unità propria della Chiesa cattolica. 

Il Codice ha subito diverse modifiche: può citare le più significative? 

-Nei quarant'anni trascorsi dalla promulgazione del Codice, l'evoluzione dell'ordinamento canonico è proseguita in linea con il magistero e gli sviluppi della dottrina. In primo luogo, le modifiche hanno interessato norme non pienamente trattate nel Codice, come la Curia romana e altre fonti di diritto, tra cui i Concordati e gli accordi con gli Stati e le organizzazioni internazionali.

Inoltre, a differenza del Codice del 1917, quello del 1983 ha dovuto tenere conto, come è stato sottolineato, a causa della necessità dottrinale dell'episcopato dell'ultimo Concilio, del ruolo dei legislatori particolari, a partire dai vescovi diocesani e dalle Conferenze episcopali.

Le modifiche apportate ad alcune parti del Codice, in particolare nell'ambito dei procedimenti di annullamento del matrimonio e in il diritto penale (libro VI)L'UE è stata messa alla prova dallo scandalo degli abusi sessuali dei minori da parte degli ecclesiastici ed è stata recentemente sottoposta a una revisione completa. 

Secondo il cardinale Zuppi, "l'apparato normativo promulgato nel 1983, ispirato agli insegnamenti del Concilio Vaticano II, è adeguato alla società ecclesiale contemporanea". È d'accordo? 

-In generale, le riforme attuate hanno dimostrato l'integrità del quadro originale, vale a dire che le modifiche e gli aggiornamenti necessari possono essere introdotti senza danneggiare il Codice nel suo complesso. Proprio perché strettamente basato sulla dottrina conciliare, il Codice del 1983 mantiene la sua validità e risponde ancora oggi alle esigenze della missione della Chiesa. 

Dopo l'esperienza del CIC, non si può che guardare al futuro, con l'impegno della Chiesa ad affrontare le nuove sfide con ponderazione e determinazione. Quale ruolo deve avere il diritto canonico nel cammino sinodale della Chiesa? 

-Alcune proposte di riforma sono state a lungo discusse in dottrina, senza contare l'ampio impatto che una più ampia ricezione del principio di sinodalità e una maggiore partecipazione di tutti i fedeli agli istituti già previsti dal Concilio e inclusi nel Codice potrebbero avere sulle istituzioni ecclesiastiche.

Da un lato, potrebbe essere necessario un adeguamento della regolamentazione del settore immobiliare, in nome della necessità di prestare maggiore attenzione a ciò che accade nel mondo contemporaneo.

Da questo punto di vista, è auspicabile una maggiore professionalizzazione dei soggetti che operano in questi ambiti, con un ruolo più rilevante dei laici in termini di piena partecipazione al governo delle realtà locali.

In concreto, nell'ambito della sinodalità, i nuovi statuti dei consigli pastorali della diocesi di Roma, entrati in vigore a settembre e voluti da Papa Francesco per meglio perseguire la partecipazione, la comunione e la missione di tutto il popolo di Dio, potrebbero essere di aiuto come modello da applicare in molte diocesi. Sullo sfondo, infine, c'è la questione sempre aperta dell'equilibrio tra privacy e trasparenza.

L'autoreAntonino Piccione

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