Intercomunione, ecumenismo e dialogo interreligioso è il tema della sessione di venerdì 14 aprile, nell'ambito del X Corso di specializzazione in informazione religiosa promosso dall'Associazione ISCOM, dall'Associazione Giornalisti Internazionali Accreditati dal Vaticano (AIGAV) e dalla Facoltà di Comunicazione Sociale Istituzionale dell'Università di Roma. Pontificia Università della Santa Croce.
"Più di sessant'anni fa, un atto ispirato di Papa Giovanni XXIII mise in moto un cambiamento che prese immediatamente piede e determinò una nuova direzione nella vita concreta della Chiesa cattolica in relazione alle altre Chiese e Comunioni cristiane". Così Mons. Brian Farrell, Vescovo Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha commentato la creazione del Segretariato per l'Unità dei Cristiani (oggi Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani), parte integrante di quell'aggiornamento di cui il cattolicesimo sentiva da tempo un grande bisogno.
Il Segretariato, sotto la guida del suo primo presidente, il cardinale Augustin Bea, fu incaricato di portare all'ordine del giorno del Concilio, tra le altre cose, la pressante questione del superamento delle divisioni e delle rivalità secolari nel mondo cristiano, e di ripristinare quell'unità voluta dal Signore stesso: "Ut unum sint" (Giovanni 17:21). "Questo compito particolare si è presentato", osserva Farrell, "come una sfida veramente difficile. Per i cattolici partecipare al movimento ecumenico, che stava già prendendo forma tra i protestanti e gli ortodossi, richiedeva un radicale cambiamento di prospettiva sulla Chiesa, così come sulla natura e sul valore delle altre comunità cristiane. Si dimentica facilmente che la stragrande maggioranza dei vescovi che si riunirono nella Basilica di San Pietro l'11 ottobre 1962 per dare inizio al Concilio, per loro formazione, erano convinti che al di fuori della Chiesa cattolica ci fossero solo scisma ed eresia".
In questa rinnovata visione ecclesiologica, i Padri conciliari giunsero a riconoscere che le altre Chiese e Comunioni cristiane "nel mistero della salvezza non sono affatto prive di significato e di valore" ("...").Unitatis redintegratio", 3). Infatti, "lo Spirito di Cristo non rifiuta di servirsi di loro come strumenti di salvezza" (ibid.). Di conseguenza, il dovere di ristabilire l'unità dei discepoli di Cristo si rivela un'esigenza imprescindibile.
Dialogo
"La questione cruciale", secondo il segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, "è stata quella di perfezionare il concetto di dialogo affinché i risultati si traducessero in un'esperienza concreta di vita ecclesiale, come testimonianza comune e servizio di amore solidale". Con l'enciclica "Ut unum sint" del Papa Giovanni Paolo IIIl dialogo si colloca nel contesto di una profonda visione antropologica: il dialogo non è solo uno scambio di idee, ma un dono di sé all'altro, realizzato reciprocamente come atto esistenziale. Prima di parlare del dialogo come mezzo per superare i disaccordi, l'enciclica ne sottolinea la dimensione verticale. Il dialogo non si sviluppa semplicemente su un piano orizzontale, ma ha in sé una dinamica trasformatrice nella misura in cui è un cammino di rinnovamento e di conversione, un incontro non solo dottrinale ma anche spirituale, che permette "uno scambio di doni" (nn. 28 e 57)".
Il dialogo presuppone quindi una genuina volontà di riforma, attraverso una più radicale fedeltà al Vangelo e il superamento di ogni vanità ecclesiale. Papa Benedetto XVI ha ulteriormente approfondito il concetto di dialogo, invitandoci a "leggere l'intero compito ecumenico", sottolinea Farrell, "non nei termini di una secolarizzazione tattica della fede, ma di una fede ripensata e vissuta in modo nuovo, attraverso la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entra in questo nostro mondo di oggi".
Secondo Benedetto, è necessario superare l'epoca confessionale in cui si guarda a tutto ciò che separa, per entrare nell'epoca della comunione "nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo primitivo" e "nell'impegno comune per l'ethos cristiano di fronte al mondo" (cfr. Discorso a Erfurt, Germania, 23 settembre 2011).
Lo scambio di doni
In linea con i suoi predecessori, Papa Francesco ha spesso parlato del dialogo ecumenico come di uno scambio di doni. "Un tale atteggiamento ecumenico", afferma Farrell, "comporta una visione teologica e spirituale elevata della comunione che già esiste tra i cristiani: 'Anche quando le differenze ci separano, riconosciamo di appartenere al popolo dei redenti, alla stessa famiglia di fratelli e sorelle amati dall'unico Padre'" (Omelia del 25 gennaio 2018).
Questo ecumenismo significa rinunciare alla convinzione che la nostra strada sia l'unica possibile, per iniziare a pensare, giudicare e agire nella prospettiva dell'intera famiglia cristiana, dove tutti i battezzati hanno una fede comune.
Nella sua relazione su "La Chiesa e le altre tradizioni religiose: il dialogo interreligioso", padre Laurent Basanese S.J., Dicastero per il Dialogo Interreligioso, ricorda un passaggio della Lettera Enciclica di Papa Francesco sulla fraternità e l'amicizia sociale (3 ottobre 2020, n. 199), Dicastero per il Dialogo Interreligioso, ricorda un passaggio della Lettera Enciclica di Papa Francesco sulla fraternità e l'amicizia sociale (3 ottobre 2020), n. 199: "Alcuni cercano di fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati, e altri la affrontano con la violenza distruttiva, ma tra l'indifferenza egoistica e la protesta violenta c'è sempre un'opzione: il dialogo. Mentre un tempo le religioni fiorivano in regioni relativamente separate, oggi si trovano spesso sullo stesso territorio a coesistere o a scontrarsi a causa della globalizzazione in atto, rendendo il vero dialogo interreligioso una questione cruciale.
L'altro
"Prestando attenzione a ciò che il 'diverso altro' ha in comune con i cristiani", spiega Basanese, "il dialogo ha introdotto nella coscienza e nella pratica della Chiesa un nuovo modo di considerare le persone che non condividono la fede della Chiesa. L'"altro" non è più un "oggetto di missione", come consideravano i vecchi trattati di missiologia, ma un soggetto a cui rivolgersi. Oggi, invece, si vuole un modello di incontro più articolato e complesso, sfaccettato. Questo modello richiede il gioco, cioè il discernimento, tra le molteplici dimensioni della stessa realtà, ma anche la perseveranza nell'intento di costruire insieme un mondo in cui regni la pace, così come l'immaginazione e la creatività nella quotidianità delle relazioni".
Ricordando le tappe fondamentali del dialogo interreligioso nella Chiesa cattolica (il Concilio e la presa sul serio della globalizzazione, l'Enciclica Pacem in Terris, il dialogo istituzionalizzato della Chiesa, l'Enciclica Ecclesiam Suam del 1964), Basanese si sofferma sulla Dichiarazione Nostra Aetate del Concilio del 1965 sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (n. 2), sottolineando il comune fondamento di umanità da cui partono: "La Chiesa cattolica non rifiuta nulla di ciò che è vero e santo in queste religioni, né rifiuta nulla di ciò che è vero e santo in queste religioni". 2), sottolineando la base comune di umanità da cui partono: "La Chiesa cattolica non rifiuta nulla di ciò che è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, sebbene differiscano in molti punti da ciò che essa stessa crede e propone, tuttavia riflettono spesso un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. Tuttavia, essa annuncia, ed è obbligata ad annunciare, Cristo che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6), nel quale gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliato a sé tutte le cose".
Era la fine dell'era eurocentrica: si aprivano nuovi orizzonti per la missione della Chiesa nel mondo, soprattutto in relazione alle grandi religioni. Era impossibile separare il dialogo interreligioso dal processo di costruzione della pace. A questo proposito, Basanese cita Giovanni Paolo II (cerimonia di chiusura dell'Assemblea interreligiosa di Assisi, 28 ottobre 1999): "Religione e pace vanno di pari passo: dichiarare guerra in nome della religione è una contraddizione evidente. I leader religiosi devono dimostrare chiaramente che sono impegnati a promuovere la pace proprio a causa della loro fede religiosa".
Comunità flessibili e aperte
Tale dialogo mira alla riconciliazione e alla coesistenza. È un modello che si oppone alla "cultura dello scontro" o dell'"anti-fraternità". La formazione delle giovani generazioni deve mirare a far sì che le persone e le nostre comunità non siano rigide, ma flessibili, vivaci, aperte e fraterne. Questo è possibile rendendole più complesse, articolandole con l'"altro da sé", aumentando la loro innata capacità di creatività.
Un dialogo così scolpito nel Documento sulla fraternità umana per la pace nel mondo e la convivenza (4 febbraio 2019): "Adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio".
Un dialogo a vari livelli che, secondo Basanese, Papa Francesco, nello spirito di Assisi, ha ben condensato in alcuni concetti chiave: "Oggi è tempo di immaginare con coraggio la logica dell'incontro e del dialogo reciproco come percorso, la collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e criterio; e, in questo modo, di offrire un nuovo paradigma per la risoluzione dei conflitti, per contribuire alla comprensione tra i popoli e alla salvaguardia del creato. Credo che in questo campo sia le religioni che le università, senza dover rinunciare alle loro peculiarità e ai loro doni, abbiano molto da contribuire e da offrire" (Università Chulalongkorn, Bangkok, 22 novembre 2019).