Nessuna maschera

L'uso obbligatorio delle mascherine nei centri sanitari e nelle farmacie sta per finire, ma ci sono altre maschere che usiamo per interagire con gli altri.

1° luglio 2023-Tempo di lettura: 3 minuti

La fine dell'obbligo di indossare il facciale negli ospedali, nei centri sanitari, nelle case di cura e nelle farmacie renderà visibile la fine dell'incubo della pandemia, ma ci sono ancora molte maschere da rimuovere.

Il fatto è che tutti hanno una maschera, una maschera che li separa dagli altri e che impedisce alle persone di sapere chi sono veramente. Mostriamo una parte di noi stessi e ne nascondiamo un'altra, quella che riteniamo non sia nel nostro interesse rivelare. La parola stessa "persona" deriva dal termine che, nel mondo classico, designava le maschere con cui gli attori si coprivano il volto. Lo stesso attore poteva interpretare ruoli diversi, così la parola è venuta a designare ognuno dei "personaggi" del grande teatro del mondo, ogni essere umano.

Le maschere, come quelle degli ultimi tre anni, ci proteggono da un mondo ostile. Sono una barriera contro le aggressioni esterne, ma allo stesso tempo rendono difficile la comunicazione, la comprensione e la comunione. Chi non ha sperimentato che, dopo aver incontrato qualcuno durante la pandemia, era difficile riconoscerlo quando lo si vedeva senza maschera? Quando potevamo vedere solo la fronte e gli occhi del nostro interlocutore, immaginavamo il resto del viso secondo i nostri criteri, senza dati oggettivi. Per noi quella persona era così, così come il nostro cervello ce la presentava, ed è per questo che poi abbiamo avuto difficoltà a riconoscere la stessa persona con un volto diverso. "Non può essere, questa non è la persona che conoscevo", pensavamo, mentre l'unica verità è che questa persona è sempre stata così e quindi continua a essere come era prima del covide. L'unica cosa che è cambiata è la nostra percezione.

Quanti fraintendimenti avvengono perché non sappiamo leggere bene l'altra persona! Quando mancano le informazioni, la vera conoscenza dell'altro, riempiamo le lacune con i pregiudizi che ognuno di noi si costruisce intorno, nel bene e nel male. Così, giudichiamo con severità quell'amico poco sorridente che in realtà porta con sé un dolore di cui non abbiamo idea, oppure ci innamoriamo perdutamente di quella persona egoista che si nasconde dietro la maschera apparentemente innocua della timidezza.

Copriamo il male perché crediamo che nessuno ci amerà così, mentre la verità è che mostrare la nostra vulnerabilità ci rende più amabili, nel senso originario della possibilità passiva del verbo amare. È più facile credere e, quindi, amare il debole, colui che non è affatto ciò che non è, colui che si presenta come un di più, fallibile come tutti gli altri; piuttosto che colui che sembra non avere difetti, perché è buon senso e natura umana non essere sempre perfetti.

È bene tenerlo a mente mentre manifestiamo la nostra fede nel mondo di oggi, sia come cristiani comuni che come Chiesa istituzionale. Rendiamo un cattivo servizio al messaggio di Gesù quando cerchiamo di presentarci come perfetti, quando cerchiamo di nascondere le nostre mancanze, quando indossiamo la maschera di fedeli seguaci del Risorto quando in realtà siamo dei poveri servi che solo a volte, e solo con l'assistenza divina, possono fare ciò che il Signore ci comanda. Infatti, "quando sono debole", come dice san Paoloallora sono forte".

Questo era ben noto ai primi cristiani, ed è per questo che i Vangeli non lesinano di presentare le debolezze anche dei membri più illustri della Chiesa: il Papa (Pietro, il rinnegato) e i vescovi, come l'apostolo Tommaso, di cui oggi celebriamo la festa e che fu ridicolizzato davanti a tutti per la sua incredulità.

Diremmo oggi che i peccati di Pietro o di Tommaso sono stati uno scandalo che ha impedito loro di portare le persone alla fede? Ovviamente, non solo non erano uno scandalo, ma ancora oggi queste debolezze dei seguaci di Gesù sono un criterio di storicità dei Vangeli, perché rendono credibile il racconto. Se ci fosse stata la pretesa di mentire, gli evangelisti avrebbero cercato di inventare la storia a loro favore, non a proprio favore.
contro.

Non sarà che, con la scusa di non scandalizzare, quello che vogliamo oggi è preservare la nostra immagine in un esercizio di orgoglio e vanità, togliendo a Dio il suo protagonismo? Non ci rendiamo conto che, con la maschera, chi dovrebbe vedere il nostro vero volto riempie le lacune di informazione e ci immagina molto più brutti di quanto siamo in realtà?

Perdiamo la paura di mostrarci come peccatori, di mostrarci come persone deboli e bisognose della grazia divina. Perdiamo la paura di togliere la maschera che ci separa dal resto degli uomini e delle donne per mostrare loro chi è Dio e chi siamo veramente, affinché possano vedere che "la forza si realizza nella debolezza".

L'autoreAntonio Moreno

Giornalista. Laurea in Scienze della Comunicazione e laurea in Scienze Religiose. Lavora nella Delegazione diocesana dei media di Malaga. I suoi numerosi "thread" su Twitter sulla fede e sulla vita quotidiana sono molto popolari.

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