Il mese di marzo può essere piuttosto faticoso. Leone e agnello. Il lato freddo della primavera.
Non c'è descrizione più azzeccata dei giorni che ci stanno scivolando addosso di quella di Amy Smith, la scrittrice dei romanzi delle stagioni. Questo mese di marzo sembra molto irregolare; metà leone, energico e potente, e metà agnello, mite e spaventato, diviso in due da una parola: rischio. Il rischio di non riuscire più a resistere, di essere schiacciati dalla crisi sanitaria-politica-economica, di ammalarsi, di perdere un lavoro o un affetto, di schiantarsi di nuovo contro un muro di incertezza.
Il rischio, come tutte le espressioni con un capitale semantico infinito, ha un'etimologia incerta: su di esso si sono depositati strati di vicende umane disparate, non facili da distinguere, lasciandoci questa parola densa.
Potrebbe derivare dal greco bizantino rizikòche significa fato, destino; oppure dall'arabo rizqche evoca il saldo dovuto al soldato inviato in imprese audaci; oppure dal verbo latino classico risanaretagliare, escludere, escludere. Nella sua declinazione nautica, risanare significa quel modo di tagliare le onde prima che si alzino, con occhio e abilità per evitare il rovesciamento. Orazio usa questo verbo in uno dei suoi versi oratori: poiché la vita è breve (spatio brevi), suggerisce il poeta, spem longam resecestaglia una lunga speranza. Un verso che, con licenza poetica adattata al nostro secolo, tradurrei così: rischiala, osala, una speranza eterna (rischiare, osare, una speranza eterna).
Qui sta il rischio: si corre come un funambolo tra la cautela e il possibile danno, tra la prudenza di chi si mette al riparo e lo slancio di chi sceglie di uscire allo scoperto, pur calcolando quanto potrebbe essere danneggiato.
Ecco il rischio: corre come un funambolo tra la cautela e il possibile danno, tra la prudenza di chi si mette al riparo e la spinta di chi sceglie di uscire allo scoperto, pur calcolando quanto potrebbe essere danneggiato. Tra l'abbandono al cieco caso e l'ostinazione della volontà.
Sebbene la sua natura sia quella combinazione di fortuna, destino, volontà, calcolo e giusto equilibrio, si cerca di misurarla. Cerchiamo di studiarlo per prevenirlo o contenerlo.
Le organizzazioni più complesse di oggi non possono reggere la concorrenza, o addirittura entrare in gioco, se non si sono dotate di una valutazione dei rischi, ossia di un'analisi delle minacce potenziali, di come possono verificarsi, di quali limiti devono essere fissati e di quali metodi devono essere pianificati per prevenirle. Anche se le aziende riescono a far rientrare nelle celle di un foglio di calcolo excel ampie fasce di rischio, non è altrettanto facile per le persone domarle.
Ci siamo nati dentro. Fin dal primo momento nel grembo materno, o forse anche prima, fa parte della nostra essenza, è pura esperienza umana. Forse, ancora di più, è una quota vocazionale, nel senso che se la vita si svolge come una continua risposta che siamo "costretti" a dare, istante dopo istante, a ciò che la realtà ci mette davanti - sia essa la primavera o l'inverno - il rischio è proprio lì, in ogni domanda.
Siamo il risultato dei rischi che scegliamo di correre. Il manufatto artistico di ciò che la vita incalzante continua a produrre in noi.
È impegnativo, perché essere a rischio richiede la capacità di scegliere tra le alternative sul campo, perché la via di fuga non è sempre disponibile. Richiede una ragione elastica, capace di espandersi fino a considerare tutti gli elementi, da quelli più macroscopici a quelli impliciti, apparentemente insignificanti, che possono diventare decisivi. E poi ci vuole una buona compagnia, quella che ha il temperamento per tenerci sulle spine e non lasciarci andare alla deriva in solitudine.
Siamo il risultato dei rischi che scegliamo di correre. Il manufatto artistico di ciò che la vita incalzante continua a produrre in noi.
E quando questo vince, arriva marzo, si torna all'inizio. Un mese che porta il nome del dio della guerra, perché quando l'inverno comincia a salutare, servono guerrieri resistenti alla violenza delle tempeste, dei cambiamenti, degli imprevisti. Così che la linfa vitale che era nascosta in una natura avvizzita, morta solo agli occhi distratti, riacquisti tutto il suo spazio per esplodere.
Laurea in Lettere classiche e dottorato in Sociologia della comunicazione. Direttore della Comunicazione della Fondazione AVSI, con sede a Milano, dedicata alla cooperazione allo sviluppo e agli aiuti umanitari nel mondo. Ha ricevuto diversi premi per la sua attività giornalistica.