La mirra, il dono migliore

A Natale celebriamo il mistero dell'Incarnazione, che spazza via tutte le nostre idee preconcette su Dio. E, grazie alla mirra, ognuno di noi era in quel portale.

15 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti
Natale

Foto: Cathopic

L'oro e l'incenso sono chiari, ma che dire della mirra? Il cinema e i social network stanno scherzando in questi giorni sull'"inutilità" di questo regalo dei re, ma è davvero inutile? Al contrario! È forse la più importante. E vi spiego perché.

La prima cosa da dire è che non parliamo di oro, incenso e mirra per caso o per tradizione. Tutti e tre i doni si trovano nella Sacra Scrittura, in particolare nel secondo capitolo del Vangelo secondo Matteo. Sono tradizioni, ad esempio, il mulo e il bue, che non compaiono in nessuno dei Vangeli; e anche gli stessi Magi: Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, poiché la Bibbia non dice che erano re, né che erano in tre, e non ne cita nemmeno il nome. Certamente, fin dai primi secoli del cristianesimo, così è stata interpretata la loro figura e così si continua a parlare di loro, ma il fatto dovrebbe richiamare la nostra attenzione su ciò che è veramente importante: che non furono tanto i tre, cinque o quindici magi ad arrivare al portale, ma i tre doni che sappiamo portarono con sé.

I padri della Chiesa vedevano nei doni offerti da questi misteriosi personaggi un'intenzione profetica che ci parlava del destino del bambino: oro, come si addice a un re, perché Gesù era destinato a essere re nel Regno dei Cieli; incenso, come si addice a Dio, perché come quel fumo profumato sale verso il cielo servendo gli ebrei come offerta a Dio nel suo tempio, così quel bambino meritava tale onore in quanto Figlio di Dio; e la mirra (la grande sconosciuta), come l'uomo nella sua natura mortale, perché questa resina vegetale è usata per curare le ferite, imbalsamare i cadaveri e come antidolorifico per i moribondi, preannunciando così la sua passione e morte in croce.

Ecco perché è il più impopolare dei regali, ecco perché è il grande sconosciuto perché, oltre ad essere il meno comune dei tre prodotti della nostra vita quotidiana, chi vuole sentir parlare di morte in questo Natale di brillibrilli che abbiamo inventato?

Tuttavia, e questa è la mia proposta, riflettendoci bene, potrebbe essere il regalo più importante per noi, quello che ci parla del vero significato del Natale, quello che ci scrolla di dosso gli appigli che gli anni hanno accumulato su questa festa e che ci impediscono di contemplarla e celebrarla in tutto il suo splendore.

A Natale, infatti, celebriamo il mistero dell'Incarnazione, che spazza via tutte le nostre idee preconcette su Dio. A Natale non è un Dio lontano, lassù in cielo, ma con i piedi sulla terra; non è un Dio solitario, ma un Dio trinitario bisognoso di una famiglia; non è un Dio indifferente, ma coinvolto con il suo popolo; non è un Dio giusto, ma un Dio misericordioso; non è un Dio prepotente, ma un Dio semplice; Non è un Dio prepotente, ma semplice, piccolo e povero; non è un Dio estraneo al dolore, ma un Dio passivo, che soffre con i suoi; non è un Dio che crea per ammirare la propria opera, ma per puro amore delle sue creature.

Nel Concilio Vaticano II, la Chiesa ci ha ricordato che "il mistero dell'uomo si chiarisce solo nel mistero del Verbo incarnato" e continua ad affermare che "il Figlio di Dio con la sua incarnazione si è unito, in un certo senso, ad ogni uomo".

Quindi, d'ora in poi, non prestate attenzione quando scherzano sul destino incerto della mirra. Cogliete l'occasione per spiegare che, grazie ad esso, ognuno di noi era nel portale quella notte, perché quel Bambino era unito "in un certo modo" a ciascuno di noi. È questo che celebriamo a Natale, sia chiaro: Buona Incarnazione, Buon Natale!

L'autoreAntonio Moreno

Giornalista. Laurea in Scienze della Comunicazione e laurea in Scienze Religiose. Lavora nella Delegazione diocesana dei media di Malaga. I suoi numerosi "thread" su Twitter sulla fede e sulla vita quotidiana sono molto popolari.

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