Il dramma di Arthur Schopenhauer

La vita di Arthur Schopenhauer (Danzing, 1788-Francoforte, 1860), uno dei più grandi filosofi tedeschi di tutti i tempi, coincide con un momento culturale di straordinaria vitalità: la nascita dell'idealismo e del romanticismo tedesco.

29 agosto 2022-Tempo di lettura: 5 minuti

La sua fu un'esistenza drammatica, segnata dalle figure di un padre autoritario e di una madre con ambizioni letterarie, e da un'indomita volontà di successo nel denso ambiente intellettuale in cui visse, dove avevano brillato pensatori come Kant, Fichte, Schelling ed Hegel.

In un'epoca in cui prevaleva il culto della ragione, Schopenhauer aveva già intuito alcuni dei tratti che caratterizzano il nostro presente: l'irrazionalismo, il pessimismo tragico, il primato della volontà, degli istinti e del desiderio, nonché l'importanza dell'arte per comprendere la natura dell'essere umano. È un peccato che un uomo così intelligente non abbia l'umiltà di chi conosce Dio.

Nell'eccellente biografia di Rüdiger Safranski si dimentica spesso che si tratta di un filosofo dell'inizio del XIX secolo, anche se di influenza tardiva, soprattutto attraverso il suo discepolo Nietszche.

Per lui, la volontà è sia la fonte della vita sia il substrato in cui si annidano tutte le disgrazie: la morte, la corruzione dell'esistente e lo sfondo della lotta universale. Schopenhauer nuota contro la corrente del suo tempo: non è animato dal piacere dell'azione, ma dall'arte dell'abbandono.

Oltre al suo famoso pessimismo, la sua opera presenta alcuni elementi utili, come la sua filosofia della forza interiore e il suo invito al silenzio.

Verso la fine della sua vita, disse una volta a un interlocutore: "Una filosofia, tra le cui pagine non si sentono le lacrime, l'ululato e lo stridore di denti, e il tremendo frastuono del crimine universale di tutti contro tutti, non è una filosofia".

Suo padre, un ricco commerciante, voleva fare di lui un commerciante (un uomo di mondo e di belle maniere). Ma Arthur, aiutato a questo punto dal precoce suicidio del padre (dal quale imparerà il coraggio, l'orgoglio, la sobrietà e una ferma e dolorosa arroganza) e aiutato dalla madre, con la quale poi litigherà, diventa un filosofo. La sua passione per la filosofia nasceva dallo stupore per il mondo e, poiché aveva ereditato la ricchezza, poteva vivere per la filosofia e non aveva bisogno di vivere di essa.

Il suo lavoro principale, Il mondo come volontà e rappresentazioneera per lui il vero compito della sua vita e non fu un successo quando fu pubblicato. Si è poi ritirato dal palcoscenico senza aver mai recitato e si è dedicato a contemplare in disparte il carnevale a volte crudele della vita.

Essendo un uomo dalla prodigiosa autostima, sapeva pensare e delineare le tre grandi umiliazioni della megalomania umana: umiliazione cosmologica (il nostro mondo non è che una delle innumerevoli sfere che popolano lo spazio infinito e su cui si muove uno strato di muffa con esseri viventi e cognitivi); umiliazione biologica (l'uomo è un animale in cui l'intelligenza serve esclusivamente a compensare la mancanza di istinti e l'inadeguato adattamento all'ambiente); e umiliazione psicologica (il nostro io cosciente non governa la propria casa).

Nelle opere del filosofo dantesco, così come nella sua biografia, possiamo scoprire che Schopenhauer è stato un bambino senza sufficiente amore (la madre non amava il padre e alcuni dicono che questi si sia preso cura di Arthur solo per obbligo), il che ha lasciato ferite che sono state poi coperte dall'orgoglio. Nella sua Metafisica delle maniere dirà che gli esseri umani "faranno ogni sorta di tentativi frustrati e faranno violenza al loro carattere nei dettagli; ma nel complesso dovranno cedere" e che "se vogliamo afferrare e possedere qualcosa nella vita dobbiamo lasciare innumerevoli cose a destra e a sinistra, rinunciandovi". Ma se non siamo capaci di decidere in questo modo, e se ci buttiamo su tutto ciò che ci attrae temporaneamente, come fanno i bambini alla fiera annuale, corriamo a zig zag e non arriviamo da nessuna parte. Chi vuole essere tutto può diventare niente.

Influenzato dalla lettura del Candide di Voltaire e sopraffatto dalla desolazione della vita mentre contemplava la malattia, la vecchiaia, il dolore e la morte, a 17 anni perse quel poco di fede che aveva, All'età di 17 anni, perse quel poco di fede che aveva e dichiarò che "la verità chiara ed evidente che il mondo esprimeva superò presto i dogmi giudaici che mi erano stati inculcati e giunsi alla conclusione che questo mondo non poteva essere opera di un essere benevolo ma, in ogni caso, la creazione di un diavolo che lo aveva chiamato all'esistenza per trarre piacere nel contemplare il suo dolore". Allo stesso tempo, e paradossalmente, attaccherà il materialismo, dicendo che "il materialista sarà paragonabile al barone Münchausen, che, nuotando a cavallo nell'acqua, cercava di tirare il cavallo con le gambe, e per trascinarsi tirava avanti il proprio codino".

Ed è proprio la sua rinuncia alle verità cristiane che lo trasformerà in un individuo insopportabile e infelice: finirà i suoi giorni da solo, arrabbiato per anni con la madre e l'unica sorella, senza essere riuscito a impegnarsi con nessuna delle donne di cui ha approfittato, denunciato da una vicina di casa che sosteneva che l'avesse buttata giù dalle scale durante una lite per il rumore che faceva parlando, e trovato morto dalla governante sul divano di casa sua.

Quando sua madre prese in mano la tesi di Schopenhauer La radice quadruplaArthur rispose: "Sarà letto quando non sarà rimasto nemmeno uno dei tuoi scritti nella stanza sul retro", e sua madre rispose: "Dei tuoi, l'intera edizione starà per essere pubblicata".

Tuttavia, nel corso della sua vita ebbe momenti di lucidità, come quando dava importanza alla compassione nella vita degli uomini (lui stesso lasciò la sua eredità a un'organizzazione caritatevole) o quando gli piaceva scalare le montagne e contemplare la bellezza del paesaggio dall'alto. In uno dei suoi diari scrisse: "Se togliamo dalla vita i brevi momenti della religione, dell'arte e dell'amore puro, cosa rimane se non una successione di pensieri banali? E in una lettera alla madre arriverà a dire: "le pulsazioni della musica divina non hanno cessato di suonare attraverso i secoli della barbarie, e un'eco immediata dell'eterno è rimasta in noi, intelligibile a tutti i sensi e persino al di sopra del vizio e della virtù".

Nell'arena politica, il patriottismo gli era estraneo; gli eventi bellici erano "tuoni e fumo", un gioco straordinariamente sciocco. Era "pienamente convinto che non sono nato per servire l'umanità con il pugno ma con la testa, e che la mia patria è più grande della Germania". Per lui, lo Stato è un male necessario, una macchina sociale che, nel migliore dei casi, accoppia l'egoismo collettivo con l'interesse collettivo della sopravvivenza e che non ha alcuna competenza morale. Non vuole uno Stato con un'anima che, appena può, cerca di possedere l'anima dei suoi sudditi. Schopenhauer difende senza compromessi la libertà di pensiero.

Nel 1850 terminò la sua ultima opera, i Parerga e i Paralipomena, scritti secondari, pensieri sparsi ma sistematicamente ordinati su vari argomenti. Tra questi, gli Aforismi sulla saggezza del vivere, divenuti poi così famosi (insieme a L'arte di avere ragione: esposta in 38 stratagemmi). Non manca il senso dell'umorismo dell'autore, che sosteneva che prendere il presente troppo sul serio ci rende persone ridicole, e che solo alcuni grandi spiriti sono riusciti a uscire da quella situazione per diventare persone ridicole. Poco prima di morire disse: "L'umanità ha imparato da me cose che non dimenticherà mai". Impariamo quindi dalle sue virtù e dai suoi errori.

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