Ogni giorno, e non è una novità, abbiamo esperienza di conversazioni polemiche in rete in cui ognuno cerca di imporre il proprio punto di vista su ogni argomento che viene dibattuto nell'opinione pubblica, dai vaccini alla partita della propria nazionale di calcio, da questioni delicate, che appartengono alla sfera spirituale, a scelte politiche spesso controproducenti. Tutto viene attribuito, come si legge, al contenitore dell'hate speech.
Questo perché ognuno di noi ha un'innata capacità di persuasione (vuole convincere l'altro della "bontà" delle proprie idee), ma dà la priorità al risultato piuttosto che al modo in cui ci si arriva. Dimentichiamo che lo spirito del dibattito è proprio quello di non mettere mai un "punto fermo" alla discussione, ma di alimentarla continuamente con nuove opinioni, punti di vista e stimoli, in un processo di costante e proficua controargomentazione per ciascuno dei contendenti.
Ognuno di noi ha un'innata capacità di persuasione, ma diamo la priorità al risultato piuttosto che al modo in cui raggiungerlo.
Giovanni Tridente
Come è possibile allora dissentire in una conversazione, generare un dibattito che possa essere veramente persuasivo per gli interlocutori e per il pubblico, senza cadere nelle "deviazioni" dell'argomentazione? La proposta del filosofo italiano Bruno Mastroianni, contenuta nel suo libro La disputa felice Come essere in disaccordo senza litigare sui social network, sui media e in pubblico (Rialp) ha come principio guida "quello di mantenere l'attenzione, l'energia e la concentrazione sulle questioni e sui temi in gioco, senza rompere il rapporto tra i due contendenti, proprio per nutrirsi della differenza che emerge", sottolinea Mastroianni.
La disputa felice prevede di agire su tre livelli per creare un clima favorevole al confronto e alla buona persuasione. Il primo livello consiste nel superare la mentalità conflittuale a cui ci hanno abituato i media. Il secondo livello consiste nello scegliere consapevolmente forme specifiche di espressione nella conversazione con l'altro, evitando, ad esempio, la dissociazione ("questo non è così", "questo è sbagliato", "questo è falso"), indignazione ("non tollero che si dica questo", "questo è inaudito"), giudizi ad hominem ("ti sbagli", "non capisci"), generalizzazioni ("questo è tipico di voi cattolici/atei/stranieri/insegnanti") o discorsi di odio.... perché sono tutti approcci conflittuali che hanno un effetto belligerante sull'ascoltatore.
Infine, dobbiamo imparare a mettere da parte le espressioni che provocano una reazione ostile nell'altro, esercitando, quando necessario, un sano "potere di ignorare", consapevoli che spesso, e soprattutto in rete, la "non risposta" è di per sé un messaggio, probabilmente ancora più efficace di una reazione esplicita alla provocazione ricevuta.
In un libro successivo -Contenzioso, se necessarioMastroianni si spinge oltre e riassume le principali virtù dell'argomento nelle dita della mano, con un'immagine che consideriamo vincente, suggerendo che la disputa felice è qualcosa "a portata di mano" e che chiunque può metterla in pratica.
Il mignolo richiama l'umiltà, il valore del limite, per dire che "siamo in grado di sostenere senza litigare solo quel poco che siamo e che sappiamo"; l'anulare, quello della fede, richiama il legame, quindi il valore della fiducia per non disperdersi nel dissenso, consapevoli di dover "curare soprattutto il rapporto tra le persone"; il medio richiama, invece, la necessità di respingere l'aggressività, disinnescando insulti e provocazioni per rimanere sul tema della disputa; l'indice è quello che sceglie su cosa concentrarsi ed è quindi strettamente legato all'argomento, purché sia oggettivo, concreto, rilevante e coerente; infine, il pollice, il dito del "mi piace" sui social network, è realmente valorizzato quando nella disputa il dito è orientato verso se stessi, come forma di autoironia, cioè avere la capacità di vivere le cose con distacco senza prendere troppo sul serio le proprie e altrui opinioni, insomma.
Tutto questo nella consapevolezza che la disputa, per essere veramente felice, deve essere continua, perché non c'è questione che non possa essere discussa e non c'è verità che non possa essere trovata con mezzi retorici, sempre suscettibili di nuovi accordi e nuove riformulazioni.