FirmeSantiago Leyra Curiá

Gli antichi e l'esistenza di Dio

Il Creatore, in principio, ha distinto l'uomo, maschio e femmina, con il suo amore infinito: ha messo a loro disposizione le altre creature e la possibilità di corrispondere all'amicizia con Lui nella libertà, nella lealtà, nella fiducia e nell'intelligenza.

3 novembre 2023-Tempo di lettura: 4 minuti

Aristotele ©Marco Almbauer

Secondo Paolo di Tarso, "fin dalla creazione del mondo, la natura invisibile di Dio - cioè la sua eterna potenza e divinità - è stata chiaramente percepita nelle cose che sono state fatte". (Lettera ai Romani 1, 20).

Il Creatore, all'inizio, ha distinto l'uomo, il maschio e la femmina, con il suo amore infinito: ha messo a loro disposizione le altre creature e la possibilità di corrispondere alla loro amicizia con Lui in libertà, fedeltà, fiducia e intelligenza. L'uomo non ha ricambiato, ma ha abusato della libertà, dell'intelligenza e della fiducia riposte in lui, rompendo l'amicizia con il Creatore. Nonostante questa infedeltà, Dio ha concesso all'uomo la speranza di un ripristino dell'antico rapporto e ha rinnovato il suo aiuto con una serie di alleanze, di portata sempre più ampia, attraverso uomini giusti:

a) Alleanza con Noè, per tutta la sua famiglia.

b) Alleanza con Abramoper tutto il suo clan.

c) Alleanza con Mosè, per tutto il popolo d'Israele.

d) Dio ha offerto l'alleanza definitiva, aperta agli uomini e ai popoli di tutti i tempi, rivelando allo stesso tempo il proprio Essere, la propria intimità: lo ha fatto manifestandosi come Padre e Figlio e Spirito Santo, attraverso Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio incarnato.

Senofane di Colofone (Asia Minore), vissuto più di 90 anni - tra il 550 e il 450 a.C. - fu, secondo Aristotele, il primo a insegnare l'unità del principio supremo tra gli antichi greci. Lo fece con queste parole: "Un solo Dio, il più grande tra gli dei e gli uomini, non simile agli uomini né nella forma né nel pensiero. Egli vede tutte le cose, pensa tutte le cose, ascolta tutte le cose. Senza lavoro, governa tutto con la forza del suo spirito"..

Aristotele, originario di Stagira, nella penisola calcidica greca (a nord-est della penisola balcanica), visse tra il 384 e il 322 a.C. Per lui Dio è l'ente più alto, l'ente per eccellenza, un essere vivente che basta a se stesso, che vede e discerne l'essere di tutti gli altri enti nella loro totalità; la sua stessa attività è la conoscenza suprema; solo Dio ha la sapienza (sophia); gli uomini possono avere solo una certa amicizia con esso (filosofia). Dio è il motore primo, che, senza essere mosso, muove, cioè genera, promuove il passaggio degli altri enti dalla potenza all'atto. Il Dio di Aristotele non è il Creatore, non fa parte della natura (non è come gli enti naturali, animali, piante... che sono oggetto di studio della Fisica) ma è un ente chiave della natura e, per questo, il suo studio corrisponde alla prima Filosofia o Metafisica.

M.T. Cicerone, originario di Arpinum (Italia), visse dal 106 al 43 a.C. e studiò i filosofi greci ad Atene. Tra il 45 e il 44 a.C. scrisse l'opera Sulla natura degli dei, in cui espone le dottrine filosofiche sul divino correnti all'epoca (epicureismo, stoicismo e Nuova Accademia) sotto forma di dialogo tra diversi personaggi. In questo dialogo, uno dei personaggi, lo stoico Balbo, pone le seguenti domande:

Non sarebbe sorprendente se qualcuno fosse convinto che esistono certe particelle di materia, trascinate dalla gravità e dalla cui collisione nasce un mondo così elaborato e bello?

Chi, guardando i movimenti regolari delle stagioni e l'ordine delle stelle, potrebbe negare che queste cose abbiano un piano razionale e sostenere che tutto ciò è opera del caso?

Come possiamo dubitare che tutto questo sia fatto per una ragione e, per di più, per una ragione trascendente e divina?

Una persona sana di mente può credere che la struttura di tutte le stelle e questa enorme decorazione celeste possa essere stata creata da pochi atomi che si muovono a caso e in modo disordinato? Può un essere privo di intelligenza e di ragione aver creato queste cose?

Giustino era un filosofo del II secolo formatosi nella filosofia greca. Dopo l'incontro e la conversione al cristianesimo, in cui vide il culmine della conoscenza, continuò ad esercitare la professione di filosofo. Vide che l'antico Israele possedeva una filosofia barbarica che Dio stesso aveva usato come canale per farsi conoscere. Pensava che tutti gli uomini che avevano vissuto secondo ragione, prima del cristianesimo, fossero già cristiani: tali erano per lui i casi di Socrate ed Eraclito. Affermava anche che il cristianesimo, ai suoi tempi, era odiato e perseguitato perché poco conosciuto.

Agostino (354/430), leggendo un libro di Cicerone nel 372, acquisì una grande inclinazione alla ricerca della sapienza. Quando iniziò a leggere la Bibbia, ne rimase disgustato, al punto di abbandonarne la lettura perché la riteneva dura e incomprensibile. Fu allora iniziato alla dottrina manichea, che gli prometteva la verità e apparentemente gli dava una spiegazione al problema del male. Ascoltando le prediche di Sant'Ambrogio a Milano e la sua interpretazione allegorica dei testi dell'Antico Testamento, vide la razionalità della dottrina cristiana.

Un pomeriggio, nel giardino della sua casa, sentì un bambino dire, come parte di un gioco o di una canzone: "Prendi e leggi". Agostino lesse allora la lettera di San Paolo ai Romani, 13, 13: "Comportiamoci con decenza, come di giorno: niente mangiate e ubriachezze; niente lussuria e dissolutezza; niente rivalità e invidie. Rivestitevi piuttosto del Signore Gesù Cristo e non occupatevi della carne per soddisfare le sue passioni".

All'età di 32 anni (386), Agostino si converte; nelle sue Confessioni dirà: "Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato! Tu eri dentro di me e io ero fuori, e lì ti cercavo; e, deforme, irrompevo in quelle cose belle che tu facevi. Tu eri con me e io non ero con Te. Ero tenuto lontano da Te proprio da quelle cose che non esisterebbero se non fossero in Te. Hai chiamato, hai gridato e hai rotto la mia sordità. Hai brillato, hai brillato e hai posto fine alla mia cecità. Hai diffuso la tua fragranza e io ho sospirato. Ti ho desiderato. Ti ho assaggiato e ho fame e sete di Te. Mi hai toccato e sono stato incoraggiato nella tua pace" (Conf. X, 26-36).

Il problema centrale del pensiero di Agostino è quello della felicità. Per lui la felicità si trova nella sapienza, nella conoscenza di Dio. La fede cerca di capire; pertanto, la conquista della sapienza richiede una disciplina rigorosa, un progresso morale, intellettuale e spirituale. Superata la presunzione giovanile, Agostino comprende l'autorità divina e le sue mediazioni come guida luminosa della ragione. La sua spiritualità si fonda sulla Chiesa reale (all'inizio questa comunità universale e concreta era composta, da vicino: sua madre Monica, il vescovo Ambrogio, suo fratello, suo figlio e i suoi amici. Nel corso degli anni, divenne vescovo della Chiesa universale in una diocesi dell'Africa). Tra il 397 e il 427 scrisse la sua opera "Della dottrina cristiana", in cui indica vari modi per risolvere le difficoltà, derivanti dalla lettera stessa della Scrittura, di passi che lasciano perplessi per la morale, nel qual caso segnala l'utilità dell'esegesi o dell'interpretazione allegorica.

L'autoreSantiago Leyra Curiá

Membro corrispondente dell'Accademia Reale di Giurisprudenza e Legislazione di Spagna.

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