Una stretta di mano o un abbraccio tra due leader politici, tra due uomini di Stato, può essere un semplice gesto di protocollo o un'operazione di maquillage diplomatico. Ma può anche essere il segno della riconciliazione e la chiave che apre una nuova fase di comprensione e concordia. L'impegno, davanti ai flash, di una volontà di lavorare a stretto contatto.
C'era molta attesa per l'incontro in Vaticano tra Papa Francesco e il Presidente dell'Argentina, Javier Milei. L'incontro si è svolto nel contesto di un evento eccezionale: la canonizzazione nella Basilica di San Pietro della prima santa argentina, Santa María Antonia de Paz y Figueroa.
Il Paese in cui sono nati Francisco e Milei sta attraversando una grave crisi economica, politica e sociale. I due dignitari lo sanno e questo pesa su entrambi. Il desiderio di dialogo tra Chiesa e Stato è forte, anche se è stato inficiato da un costante braccio di ferro.
Ma al di là delle circostanze, l'abbraccio di cui siamo stati testimoni quel giorno parla in modo eloquente, nella sua semplicità, della grandezza di Jorge Mario Bergoglio.
Non si può sapere fino a che punto si è capaci di perdonare quando non si è stati fortemente offesi. I passati insulti di Milei a Francisco andavano ben oltre l'insulto. È vero che da allora si è scusato e che quando li ha pronunciati era in campagna elettorale. Ma personalmente non so se sarei così magnanimo da chiedere scusa a chiunque si fosse riferito a me in quei termini, per quanto comprensione possa avergli dimostrato. Papa Francesco ha avuto il genio di disarmare Milei nel suo stile porteño, abbattendo ogni muro con un simpatico riferimento alla sua acconciatura. Poi è arrivata la richiesta del presidente: "Posso abbracciarti?" e la risposta di Francesco, da pastore e padre: "Sì, figlio mio, sì".