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Chiedere con il cuore

Juan José Silvestre-1 giugno 2016-Tempo di lettura: 6 minuti

Dopo la stagione forte dell'anno liturgico che, incentrata sulla Pasqua, si protrae per tre mesi - prima i quaranta giorni della Quaresima e poi i cinquanta giorni del Tempo Pasquale - la liturgia ci offre tre feste che hanno un carattere "sintetico": la Santissima Trinità, la Domenica di Pasqua e la festa dello Spirito Santo. Corpus Christi e infine il Sacro Cuore di Gesù. Quest'ultima solennità ci fa considerare il Cuore di Gesù e, con esso, tutta la sua persona, perché il cuore è la sintesi e la fonte, l'espressione e lo sfondo ultimo di pensieri, parole e azioni: "Dio è amore". (1 Gv 4, 8). Quando, con l'antifona di comunione di questa solennità, posiamo lo sguardo sul costato trafitto di Cristo, di cui parla San Giovanni (cfr. 19,37), comprendiamo l'affermazione molto forte dell'Evangelista nella sua prima lettera: "Dio è amore".. "È lì, sulla croce, che si può vedere questa verità. Ed è da qui che dobbiamo definire cosa sia l'amore. E da questo sguardo il cristiano trova l'orientamento della sua vita e del suo amore". (Deus caritas est, 12).

Sacro Cuore
La festa del Sacro Cuore ci facilita l'apertura del cuore, ci aiuta a vedere con il cuore. È bene ricordare che i Padri della Chiesa consideravano il più grande peccato del mondo pagano la sua insensibilità, la sua durezza di cuore, e citavano spesso la profezia del profeta Ezechiele: "Vi toglierò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne". (cfr. Ez 36, 26). Convertirsi a Cristo, diventare cristiano, significava ricevere un cuore di carne, un cuore sensibile alla passione e alla sofferenza degli altri. È anche Papa Francesco che, ai nostri giorni, ci ricorda con forza che si sta diffondendo sempre più una globalizzazione dell'indifferenza: "... la globalizzazione dell'indifferenza è una globalizzazione dell'indifferenza".In questo mondo di globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza: ci siamo abituati alla sofferenza degli altri, non ha nulla a che fare con noi, non ci interessa, non ci riguarda"! e per questo chiedeva intensamente: "Dio di misericordia e Padre di tutti, risvegliare dal torpore dell'indifferenza, ci apre gli occhi sulla loro sofferenza e liberarci dall'insensibilità, frutto del benessere mondano e di chiuderci in noi stessi". (Francesco, Preghiera in memoria delle vittime della migrazione, Lesbo, 16 aprile 2016).

Dobbiamo essere immersi nella realtà che il nostro Dio non è un Dio lontano e intoccabile nella sua beatitudine. Il nostro Dio ha un cuore, anzi, ha un cuore di carne. Si è fatto carne proprio per poter soffrire con noi ed essere con noi nelle nostre sofferenze. Si è fatto uomo per darci un cuore di carne e per risvegliare in noi l'amore per chi soffre, per chi è nel bisogno. Come diceva graficamente San Josemaría: "Notate che Dio non ci dice: 'Al posto del cuore, vi darò una volontà di puro spirito'. No: ci dà un cuore, un cuore di carne, come quello di Cristo. Non ho un cuore per amare Dio e un altro per amare gli abitanti della terra. Con lo stesso cuore con cui ho amato i miei genitori e amo i miei amici, con lo stesso cuore amo Cristo, il Padre, lo Spirito Santo e Maria. Non mi stancherò mai di ripeterlo: dobbiamo essere molto umani, altrimenti non possiamo essere nemmeno divini". (È Cristo che passa, 166).

Lacrime di Gesù

Una manifestazione ammirevole di questo cuore di carne di Cristo è che il nostro Dio sa piangere. È una delle pagine più commoventi del Vangelo: quando Gesù vide Maria piangere per la morte del fratello Lazzaro, nemmeno lui riuscì a trattenere le lacrime. Egli si commosse profondamente e scoppiò in lacrime (cfr. Gv 11,33-35). "L'evangelista Giovanni, con questa descrizione, mostra come Gesù si unisca al dolore dei suoi amici condividendo la loro pena. Le lacrime di Gesù hanno sconcertato molti teologi nel corso dei secoli, ma soprattutto hanno lavato molte anime, hanno lenito molte ferite" (Francesco, Veglia delle lacrime, 5 maggio 2016). Di fronte allo smarrimento, allo sgomento e alle lacrime, la preghiera al Padre scaturisce dalla ragione di Cristo. "La preghiera è la vera medicina per la nostra sofferenza" (idem).

Chiedere il perdono dei peccati

Nella Santa Messa ci sono molti momenti in cui ci troviamo a pregare il Padre di fronte alla sofferenza e al dolore per i peccati commessi, vera fonte di ogni male. Una di queste è la preghiera che il sacerdote rivolge a Dio al termine dell'atto penitenziale della Messa: "Dio onnipotente abbia pietà di noi, perdoni i nostri peccati e ci porti alla vita eterna". Questa formula si trova già nel manoscritto del XIII secolo dell'Archivio di Santa Maria Maggiore e la ritroviamo, in forma simile, anche nel Pontificale romano-germanico del X secolo, tra le preghiere che, nelle ordinanze di penitenza pubblica o privata, accompagnavano la confessione del penitente.

Queste parole di supplica rivolte dal sacerdote a Dio, in cui chiede in modo generico il perdono dei peccati ("dimissis peccatis nostris"), manifestano la sua funzione di mediatore, La Chiesa è il rappresentante sacramentale di Cristo, che intercede sempre per noi presso il Padre.

Nel considerare il ruolo del sacerdote come mediatore, come intercessore, possiamo considerare alcune parole di Papa Francesco in cui ricorda ai sacerdoti la necessità del dono delle lacrime. "In che modo il sacerdote ci accompagna e ci aiuta a crescere nel cammino di santità? Attraverso la sofferenza pastorale, che è una forma di misericordia. Cosa significa sofferenza pastorale? Significa soffrire per e con le persone. E questo non è facile. Soffrire come un padre e una madre soffrono per i loro figli; direi addirittura, con ansia....

Per spiegarmi, vi pongo alcune domande che mi aiutano quando un sacerdote viene da me. Mi aiutano anche quando sono sola davanti al Signore. Ditemi: piangete o abbiamo perso le lacrime? Ricordo che nei vecchi messali, quelli di un'altra epoca, c'è una bellissima preghiera per chiedere il dono delle lacrime. La preghiera iniziava così: "Signore, tu che hai dato a Mosè il comando di colpire la pietra perché l'acqua scorresse, colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime...": questa era più o meno la preghiera. È stato bellissimo. Ma quanti di noi piangono davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tante persone che non trovano la loro strada... Il grido del sacerdote... Voi piangete? O abbiamo perso le nostre lacrime in questo presbiterio? Piangete per il vostro popolo? Ditemi, fate la preghiera di intercessione davanti al tabernacolo? Combattete con il Signore per il vostro popolo, come Abramo: "E se fossero di meno? E se fossero di 25? E se fossero di 20?..." (cfr. Gen 18,22-33). Parliamo di parresia, di coraggio apostolico, e pensiamo ai progetti pastorali, questo va bene, ma la parresia stessa è necessaria anche nella preghiera. Litighi con il Signore? Litighi con il Signore come Mosè? Quando il Signore si stancò, si stancò del suo popolo e gli disse: "Tu stai zitto... io li distruggerò tutti e farò di te il capo di un altro popolo", "No, no! No, no! Se distruggete il popolo, distruggete anche me". Avevano i pantaloni! E faccio una domanda: abbiamo i pantaloni per lottare con Dio per il nostro popolo?" (Francesco, Discorso al clero della diocesi di Roma, 6.III.2014) Quanto bene ci farebbe recitare questa breve preghiera nello spirito di intercessione di cui ci parla il Santo Padre, con un vero cuore di carne!

I nostri peccati

Tornando alla preghiera, con il suo verbo al congiuntivo, essa esprime un desiderio o una promessa, per cui la formula si presenta come una supplica rivolta a Dio. In questo contesto, il Messale ricorda espressamente che questa assoluzione manca dell'efficacia propria del sacramento della Penitenza (cfr. Messale Romano, GIRM, n. 51). Un ultimo dettaglio di questa formula di assoluzione è l'uso della prima persona plurale ("noi... i nostri peccati... prendeteci") che indica che il sacerdote, che si era unito all'assemblea nella confessione generale, ora si sente anche bisognoso del valore propiziatorio dell'Eucaristia e cerca di prepararsi alla partecipazione fruttuosa alla Santa Messa attraverso un adeguato spirito di penitenza. Il sacerdote intercede presso il Padre, ma è anche membro del popolo di Dio. Come tutti i fedeli che partecipano alla celebrazione, il celebrante riconosce di essere un peccatore e deve disporsi fruttuosamente alla celebrazione, confessando di essere un peccatore e invocando la purificazione che viene da Dio. Come ricordava Sant'Agostino: "Io, fratelli, perché Dio l'ha voluto, sono certamente il suo sacerdote, ma sono un peccatore, e con voi mi batto il petto e con voi chiedo perdono" (Sant'Agostino, Sermone 135, 7). Così, tutta la Chiesa "è allo stesso tempo santa e sempre bisognosa di purificazione, e cerca costantemente la conversione e il rinnovamento" (Lumen gentium, n. 8).

Questa breve preghiera ci ricorda che io chiedo perdono a Dio, perché solo Lui può concedermelo, e allo stesso tempo chiedo perdono con tutta la Chiesa e per tutta la Chiesa. In questo modo celebrare è davvero celebrare "con" la Chiesa: il cuore si allarga e non si fa qualcosa, ma si sta con la Chiesa in dialogo con Dio.

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