Vaticano

"Ci accontentiamo di qualche formalità religiosa per avere la coscienza pulita?".

Nell'udienza di mercoledì, Papa Francesco ci ha incoraggiato a seguire Cristo con determinazione, sapendo che "l'effimero bussa spesso alla porta, ma è una triste illusione, che ci fa cadere nella superficialità e ci impedisce di discernere ciò che vale veramente la pena vivere".

David Fernández Alonso-1° settembre 2021-Tempo di lettura: 3 minuti
udienza papa francesco

Foto: ©2021 Catholic News Service / Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti.

Papa Francesco ha commentato un altro passo della lettera di San Paolo ai Galati durante l'udienza di mercoledì. "Nelle catechesi precedenti", ha esordito Francesco, "abbiamo visto come l'apostolo Paolo mostri ai primi cristiani della Galazia il pericolo di abbandonare il cammino iniziato nell'accoglienza del Vangelo. Il rischio, infatti, è quello di cadere nel formalismo e di negare la nuova dignità ricevuta. Il brano appena ascoltato apre la seconda parte della Lettera. Fin qui Paolo ha parlato della sua vita e della sua vocazione: di come la grazia di Dio abbia trasformato la sua esistenza, mettendola completamente al servizio dell'evangelizzazione. A questo punto, interroga direttamente i Galati: li mette di fronte alle scelte che hanno fatto e alla loro condizione attuale, che potrebbe vanificare l'esperienza di grazia che hanno vissuto".

"I termini con cui l'apostolo si rivolge ai Galati non sono gentili. Nelle altre lettere è facile trovare l'espressione "fratelli" o "cari", ma non qui. Dice genericamente "Galati" e in due occasioni li chiama "stolti". Non perché siano poco intelligenti, ma perché, quasi senza rendersene conto, rischiano di perdere la fede in Cristo che hanno abbracciato con tanto entusiasmo. Sono stolti perché non si rendono conto che il pericolo è quello di perdere il tesoro prezioso, la bellezza della novità di Cristo. Lo stupore e la tristezza dell'apostolo sono evidenti. Non senza amarezza, provoca questi cristiani a ricordare il primo annuncio da lui fatto, che offriva loro la possibilità di acquisire una libertà fino ad allora insperata".

"L'apostolo rivolge delle domande ai Galati nel tentativo di scuotere le loro coscienze. Sono domande retoriche, perché i Galati sanno bene che la loro venuta alla fede in Cristo è frutto della grazia ricevuta attraverso la predicazione del Vangelo. La parola che avevano ascoltato da Paolo si concentrava sull'amore di Dio, pienamente manifestato nella morte e nella risurrezione di Gesù. Paolo non poteva trovare espressioni più convincenti di quella che probabilmente aveva ripetuto più volte nella sua predicazione: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me; la vita che ora vivo nella carne la vivo per la fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20). Non voleva conoscere altro che Cristo crocifisso (cfr. 1 Cor 2,2). I Galati devono guardare a questo evento, senza farsi distrarre da altri annunci. Insomma, l'intento di Paolo è quello di mettere i cristiani alle strette affinché si rendano conto della posta in gioco e non si lascino incantare dalla voce delle sirene che vogliono condurli a una religiosità basata solo sull'osservanza scrupolosa dei precetti.

"I Galati, invece, capivano molto bene a cosa si riferiva l'apostolo. Certamente avevano sperimentato l'azione dello Spirito Santo nella comunità: come nelle altre Chiese, così anche tra loro si erano manifestati la carità e i vari carismi. Quando furono messi alle strette, dovettero necessariamente rispondere che ciò che avevano sperimentato era il frutto della novità dello Spirito. Così, all'inizio della loro venuta alla fede, c'è stata l'iniziativa di Dio, non degli uomini. Lo Spirito Santo era stato il protagonista della loro esperienza; metterlo ora in secondo piano per dare il primato alle proprie opere sarebbe stato sciocco".

"In questo modo, San Paolo ci invita anche a riflettere su come viviamo la nostra fede. E il Papa pone alcune domande a tutti i fedeli: "L'amore di Cristo crocifisso e risorto rimane al centro della nostra vita quotidiana come fonte di salvezza, o ci accontentiamo di qualche formalità religiosa per avere la coscienza pulita? Siamo attaccati al tesoro prezioso, alla bellezza della novità di Cristo, o preferiamo qualcosa che ci attrae al momento ma poi ci lascia un vuoto dentro? L'effimero bussa spesso alla porta delle nostre giornate, ma è una triste illusione, che ci fa cadere nella superficialità e ci impedisce di discernere ciò per cui vale davvero la pena vivere. Pertanto, teniamo ferma la certezza che, anche quando siamo tentati di allontanarci, Dio continua a elargire i suoi doni. È quanto ribadisce l'apostolo ai Galati, ricordando che è il Padre "che vi dà lo Spirito e opera miracoli tra voi" (3,5). Parla al presente - "dona", "opera" - non al passato. Infatti, nonostante tutte le difficoltà che possiamo frapporre alle sue azioni, Dio non ci abbandona, ma rimane con noi nel suo amore misericordioso. Chiediamo la saggezza di renderci sempre conto di questa realtà.

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