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La Turchia: un vicino scomodo. Seconda parte

Con este artículo, el historiador Gerardo Ferrara continúa una serie de tres estudios en la que nos introduce en la cultura, historia y religión de Turquía.

Gerardo Ferrara-21 de Aprile de 2024-Tempo di lettura: 6 minuti

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan incontra Papa Francesco nel 2014 ©OSV

Secondo la Costituzione della Repubblica di Turchia, il termine “turco”, da un punto di vista politico, comprende tutti i cittadini della Repubblica, senza distinzione di etnia o di religione. Le minoranze etniche, difatti, non hanno uno status ufficiale.

Tra modernità e tradizione, laicità e risveglio dell’Islam

Le statistiche mostrano che la maggioranza della popolazione parla il turco come lingua madre; una cospicua minoranza parla, invece, il curdo, mentre un piccolo numero di cittadini utilizza l’arabo come prima lingua. Sebbene le stime della popolazione curda in Turchia non siano sempre state attendibili, all’inizio di questo secolo i curdi ammontavano a circa un quinto della popolazione del Paese. Essi sono presenti in gran numero in tutta l’Anatolia orientale, ove costituiscono la maggioranza della popolazione in varie province. Altri gruppi etnici minoritari, oltre a curdi ed arabi, sono greci, armeni ed ebrei (che si trovano quasi esclusivamente a Istanbul), e circassi e georgiani, i quali vivono prevalentemente nella parte orientale del Paese.

Come in altri Paesi dell’area mediorientale, anche in Turchia il modello patriarcale, patrilineare e patrilocale sopravvive in gran parte delle zone rurali, dove le famiglie si radunano attorno a un capoclan e formano delle vere e proprie strutture solidali e sociali all’interno del villaggio, vivendo spesso in spazi comuni o adiacenti. In queste zone, ove la società tradizionale è ancora il modello prevalente, sopravvivono ancora pratiche e costumi ancestrali, che impregnano ogni fase della vita della famiglia (vista come centro della società, molte volte a discapito dell’individuo): dalla celebrazione del matrimonio, alla nascita, alla circoncisione dei figli maschi.

Secondo le statistiche ufficiali, il 99% della popolazione turca è musulmana (per il 10% sciita).

In aggiunta alla maggioranza musulmana, esistono anche piccole minoranze di ebrei e cristiani (questi ultimi divisi tra greco-ortodossi, armeno-ortodossi, cattolici, protestanti).

Il Paese è costituzionalmente laico. Dal 1928, infatti, a causa di un emendamento costituzionale, l’islam non è più considerato la religione ufficiale dello Stato. Da allora, vi sono stati numerosi momenti di tensione causati dalla ferrea laicità imposta dalle istituzioni, percepita da alcuni come una restrizione alla libertà di religione: ad esempio, l’uso del velo (ma anche del tradizionale copricapo turco, il tarbush), è stato a lungo proibito nei luoghi pubblici finché un nuovo emendamento costituzionale, approvato nel febbraio 2008 tra forti polemiche, ha consentito alle donne di indossarlo nuovamente nei campus universitari.

Fino al 1950, inoltre, l’insegnamento della religione non è consentito; solo dopo questa data la legge dello Stato permette l’istituzione di scuole religiose e facoltà universitarie di teologia, ammettendo anche l’insegnamento della religione nelle scuole statali. Ciò mostra un elemento alquanto interessante: se si esclude un’élite laica e urbanizzata, gran parte della popolazione della Turchia rurale è ancora profondamente ancorata alla fede islamica e ai valori tradizionali.

Le forze armate hanno, negli anni, costantemente affermato la propria prerogativa di garanti della laicità della Turchia, la cui importanza è ritenuta da esse fondamentale, tanto da intervenire più volte nella vita pubblica dello Stato ogni qualvolta sia percepito qualunque tipo di minaccia alla laicità stessa che, negli ultimi tempi, sembra più che mai messa in discussione sia per via della presenza di un presidente, Recep Tayyp Erdoğan (il quale, insieme al partito che lo sostiene, l’AKP, si dichiara islamico moderato), sia perché si assiste in generale a un risveglio delle istanze religiose in tutti i campi.

Il movimento di Fethullah Gülen

Fethullah Gülen è ato nel 1938, figlio di un imam, Gülen è stato discepolo di Said Nursi, un mistico di origine curda morto nel 1960, e, divenuto un teologo musulmano, ha fondato un movimento di massa – basato sull’adesione di volontari appassionati che mettono a disposizione anche le proprie risorse finanziarie per la causa – che, partendo dalla formazione di studenti negli anni ‘70, è arrivato a poter contare, nella sola Turchia (dove inizialmente era sostenuto anche da Erdoğan, poi divenuto suo acerrimo nemico, tanto che lo stesso Gülhen è stato accusato di essere uno dei mandanti del fallito colpo di Stato del 2016 ai danni proprio di Erdoğan) su più di un milione di seguaci e oltre 300 scuole private islamiche. Più di 200 sarebbero, invece, le istituzioni scolastiche che divulgano le idee di Gülen all’estero (soprattutto nei Paesi turcofoni dell’area ex-sovietica, dove è più forte l’esigenza di ritrovare un’identità etnica e spirituale dopo secoli di oscurantismo). In più, i suoi sostenitori dispongono anche di una banca, di diverse televisioni e giornali, di un sito web in numerose lingue e di associazioni benefiche.

Il movimento di Fethullah Gülen si presenta come naturale prosecutore dell’opera di Said Nursi, il quale sosteneva la necessità di lottare contro l’ateismo utilizzando non solo le armi della fede, ma anche quelle della modernità e del progresso, unendosi, per perseguire tale obiettivo, ai cristiani ed ai fedeli di altre religioni. Per questa ragione, è divenuto celebre, in patria (da dove, peraltro, ha scelto di trasferirsi negli Stati Uniti per il rischio di accuse contro di lui da parte delle istituzioni turche, che, insieme all’élite laica, lo vedono come un pericolo inaccettabile per l’aconfessionalità dello Stato) e all’estero, come sostenitore della pace e del dialogo interreligioso, arrivando persino ad incontrare personalità di spicco di tutte le maggiori fedi, come Papa Giovanni Paolo II, nel 1998, e vari patriarchi ortodossi e rabbini.

In realtà, l’obiettivo principale del movimento di Gülen è quello di far tornare protagonista l’islam nello Stato e nelle istituzioni della Turchia, esattamente come avveniva in epoca ottomana, e rendere il suo Paese una guida illuminata per tutto il mondo islamico, in particolare per quello turcofono. Da ciò si evince che la matrice del movimento stesso è nazionalista islamica e pan-turca e destinata, per sua natura, a scontrarsi con un altro tipo di nazionalismo presente in Turchia, quello laico e kemalista che, da un lato, guarda all’Europa e all’Occidente come partner ideali di Ankara, ma, dall’altro, non riesce a far fronte a questioni irrisolte che ancora danneggiano l’immagine del Paese nel mondo e provocano sofferenze a popoli interi: quella curda e quella armena, così come quella greca e quella di Cipro del nord.

La Turchia e l’Europa

La Turchia ha chiesto di aderire alla Comunità Europea (ora incorporata nella UE) nel 1959, mentre un accordo di associazione è stato firmato nel 1963. Nel 1987 il premier dell’epoca, Özal, ha chiesto la piena adesione. I legami economici e commerciali tra la Turchia e l’Unione europea (già nel 1990 più del 50% delle esportazioni di Ankara era destinato all’Europa), nel frattempo, diventano sempre più forti e danno un notevole impulso alle richieste della Repubblica di Turchia a Bruxelles che, tuttavia, continua a nutrire forti dubbi nei confronti del Paese euro-asiatico, soprattutto a causa della politica turca in materia di diritti umani (in particolare per la questione curda, che analizzeremo in un articolo successivo), per il delicato tema di Cipro e per il risveglio crescente del conflitto tra laici e religiosi (un ulteriore fonte di preoccupazione è il fortissimo potere dei militari nel Paese, giacché essi sono a guardia della Costituzione e della laicità dello Stato e ciò minaccia seriamente alcune libertà fondamentali dei cittadini).

Nonostante tali perplessità, nel 1996 viene istituita un’unione doganale tra Ankara e l'Unione Europea, mentre i vari governi che si succedono in Turchia moltiplicano i loro sforzi nella speranza di un’imminente adesione: si susseguono riforme in materia di libertà di parola e di stampa, di utilizzo della lingua curda, di innovazione del codice penale e di contenimento del ruolo dei militari nella politica. Nel 2004, inoltre, viene abolita la pena di morte. Nello stesso anno, l’UE invita la Turchia a dare il proprio contributo nella soluzione dell’annoso conflitto che vede da anni contrapposti i greco-ciprioti e i turco-ciprioti, incoraggiando la fazione turca - che occupa, con l’appoggio di Ankara, il nord del Paese - a sostenere il piano di unificazione sponsorizzato dalle Nazioni Unite, che doveva precedere l’ingresso di Cipro nell’Unione Europea. Sebbene gli sforzi del governo di Ankara riescano a spingere la popolazione turcofona del nord a votare a favore del piano, la stragrande maggioranza greca del sud, invece, lo respinge. Così, nel maggio del 2004 l’isola entra a far parte dell’UE come territorio diviso e i diritti e i privilegi derivanti dallo status di Paese membro dell’Unione sono concessi solamente alla parte meridionale dell’isola, sotto il controllo del governo cipriota internazionalmente riconosciuto.

Nel 2005 si aprono finalmente i negoziati formali di adesione della Turchia all’UE. Tuttavia, le trattative sono ad oggi in una fase di stallo sia perché Ankara, pur riconoscendo Cipro come membro legittimo dell’Unione Europea, continua a non voler dare al governo cipriota un pieno riconoscimento diplomatico e si rifiuta di aprire il proprio spazio aereo e marittimo ad aerei e navi ciprioti. I problemi politici, tuttavia, non sono che un piccolo aspetto della più complessa questione turco-europea.

Erdoğan

Non vi è solo Cipro a ostacolare l’ingresso della Turchia nell’UE. Lo stesso presidente Recep Tayyip Erdoğan è il simbolo dell’equilibrio altalenante della Turchia tra Oriente e Occidente.

Erdoğan, nato nel 1954, ha ricoperto diverse cariche politiche prima di diventare presidente della Turchia nel 2014. È emerso come figura prominente nella politica turca durante gli anni '90 come sindaco di Istanbul con una piattaforma islamica conservatrice. Nel 2001 ha co-fondato il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), che ha guidato alla vittoria elettorale nel 2002. Durante il suo mandato, Erdoğan ha guidato il Paese attraverso un periodo di crescita economica. Tuttavia, il suo governo è stato anche oggetto di controversie riguardanti la democrazia, i diritti umani e la libertà di stampa. Erdoğan ha di fatto consolidato il potere attraverso riforme costituzionali (compresa quella del 2017 sul presidenzialismo) e affrontato critiche sia a livello nazionale che internazionale per le sue politiche autoritarie, inclusa la repressione dell'opposizione politica e la limitazione della libertà di espressione. La sua politica estera è stata segnata da un coinvolgimento attivo nei conflitti regionali (tra cui il sostegno a diversi movimenti fondamentalisti islamici) e una politica opportunistica nei confronti dei partner internazionali.

Con la sconfitta alle ultime elezioni amministrative del marzo 2024 nelle maggiori città del Paese, l’era di Erdoğan potrebbe volgere al declino. O no?

L'autoreGerardo Ferrara

Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.

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