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È possibile superare la polarizzazione sociale in tema di aborto?

Javier García·9 de septiembre de 2022·Tiempo de lectura: 5 minutos
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Testo originale del articolo in spagnolo qui

Venerdì 24 giugno la Suprema Corte ha annullato la sentenza Roe vs. Wade, che dal 1973 tutelava il «diritto» all’aborto negli Stati Uniti. Una volta nota la decisione, migliaia di persone sono scese in piazza per festeggiare, mentre molte altre lo hanno fatto per protestare. 

Il fatto è che da più di cinquant’anni l’aborto è forse la questione morale più controversa in Occidente.

Le richieste dei pro-vita sembrano ragionevoli, nella misura in cui credono che siano in gioco delle vite umane. Tuttavia, coloro che sono favorevoli all’aborto sono altrettanto convinti che abortire sia per le donne un diritto umano, poiché pensano che gli embrioni o i feti non siano persone titolari di diritti.

Personalmente sono contrario all’aborto ma, in queste righe, non voglio valutare le argomentazioni delle due parti. Voglio sottolineare il fatto che siamo chiaramente in disaccordo. Se tutti lo riconosciamo, la prossima cosa che possiamo chiederci è come andare avanti procedendo insieme nel chiarire questo problema.

È vero che si può pensare che raggiungere un accordo su questa particolare materia sia impossibile. Per questo ci sono buone ragioni: le posizioni di entrambe le parti sono fermissime. Gli uni e gli altri ascoltano a malapena le ragioni della controparte, posto che in proposito ci sono molti interessi economici contrastanti, è una questione che ci coinvolge emotivamente, etc.

Ora, dopo tanti secoli di storia, mi chiedo se non sia possibile risolvere le nostre divergenze in modo più razionale e pacifico. Nel corso della storia, gli esseri umani hanno risolto le nostre diversità ricorrendo alla guerra, alla squalificazione delle persone, e ultimamente, al bando o alla condanna sociale. La verità è che questo ha senso farlo, poiché molte volte l’imposizione forzata delle proprie idee sull’altro è stata efficace. Ha funzionato in molte occasioni, impiantando una certa visione del mondo.

Credo che questo sia il motivo per cui tutti possiamo sentirci tentati di imporre a maggioranza le leggi che riteniamo giuste. E poiché la violenza non è più ben vista socialmente, a meno che non ci siano altre possibilità, si preferisce non farvi ricorso.

Probabilmente sono un po’ ingenuo, ma mi chiedo se non potremmo essere in grado di intavolare un dialogo tranquillo su una questione morale controversa. Ovviamente non è facile, ma se non ci proviamo corriamo il rischio di continuare ad approfondire la polarizzazione che divide sempre più le nostre società.

Con la decisione del tribunale americano i pro-life hanno ottenuto una grande vittoria, revocando una sentenza che sembrava irremovibile. Domani, invece, saranno i pro-abortisti a vincere la prossima battaglia. Ora, quello su cui penso che possiamo essere tutti d’accordo è che imporre leggi da parte di maggioranze adeguate non risolve le discrepanze sociali, ma al contrario sembra allargarle. Di conseguenza tutti dovremmo accettare la necessità di affrontare un dibattito morale, che però è complesso e ci mette a disagio. Michael Sandel, il famoso professore di Harvard vincitore del Premio Principessa delle Asturie, ha dedicato gran parte del suo lavoro a spiegare perché la maggior parte dei dibattiti sociali su questioni morali controverse non abbiano avuto luogo.

La sua ricerca mostra che non importa se il tema sia l’aborto, l’eutanasia, il matrimonio tra persone dello stesso sesso o la maternità surrogata: in nessuno di questi casi c’è mai stato un vero dialogo. Inoltre, neppure ci sono differenze nel modo in cui in alcuni paesi e in altri sono stati gestiti i processi decisionali.

 In tutti troviamo l’imposizione legislativa di alcune maggioranze su altre.

Pertanto, se tutti vogliamo rispettarci a vicenda e progredire come società, entrambe le parti devono cercare la verità su ogni questione se davvero si vuole risolverla. 

E come sarà possibile superare le discrepanze? Personalmente, sono convinto che in tutti gli argomenti su cui non siamo d’accordo, ci sono molti aspetti attorno alla stessa questione in cui invece lo siamo.
Solo partendo da ciò che tutti accettiamo possiamo chiarire esattamente dove non siamo d’accordo. E a quel punto potremmo stare ancora a chiederci come fare per vivere insieme.

Prendiamo un esempio della sentenza sull’aborto recentemente annullata. Le posizioni del presidente Joe Biden e dei vescovi statunitensi sono diametralmente opposte nel giudicare la decisione della Corte suprema. Tuttavia, entrambi hanno sottolineato l’importanza che sia evitato uno scoppio di violenza. 

Il fatto che alcuni stati ora vietino l’aborto e altri lo rendano ancora più facile non risolve il problema di fondo. Siamo ben lontani dal vivere sereni tra tutti e che ci siano le condizioni perché si generi un clima che permetta di chiarire la verità sull’origine della vita.

In questo senso, il trionfalismo pro-vita non può essere vendicativo: non basta vietare l’aborto in alcuni stati se tutte le madri che hanno difficoltà a crescere i propri figli non vengono realmente aiutate. E anche insistere su questa vittoria con i sostenitori dell’aborto non arriverà a molto (e questo indipendentemente dal fatto che quelli facciano lo stesso quando affermano di avere ragione).

Capisco le ragioni dei manifestanti pro-vita che sono scesi in piazza per festeggiare. È certamente un grande passo per la loro causa. Tuttavia, la Corte Suprema degli Stati Uniti è stata ben lungi dall’affermare che l’aborto è qualcosa che pone fine alla vita di una persona. Ha semplicemente dichiarato che spetta ai diversi stati americani la decisione se legalizzarlo o meno. Così facendo, si sta implicitamente riconoscendo che con l’aborto non si sta assassinando una persona innocente, perché se lo si pensasse davvero, le leggi americane lo proibirebbero in tutta la nazione.

Dove voglio arrivare con tutto questo discorso? Ebbene, indipendentemente dal fatto che l’aborto sia legale o meno in un determinato stato (e potremmo dire lo stesso per qualsiasi Paese), il vero problema è come si potrebbe raggiungere un accordo tra le due parti. Le leggi sono importanti e indubbiamente plasmano una cultura, ma quello che ho cercato di sottolineare in queste righe è che su alcune questioni la emanazione di una legge non pone fine alla controversia. Allora, come si potrebbe progredire?

Trovare un modo per risolvere questi problemi non è facile, motivo per cui molti pensano che l’unica cosa rimasta sia di intraprendere una battaglia culturale. Se con questo concetto si intende metterci la faccia nel dibattito pubblico per giustificare razionalmente le proprie convinzioni, allora sono d’accordo che è molto necessario.
Invece, se condurre la battaglia culturale significa accettare che nella società, quando ci sono due aspetti diversi per ogni questione controversa,  solo una delle due opzioni può rimanere in piedi, allora non sono così entusiasta dell’idea.
Non voglio squalificare quelli che la pensano diversamente, e non voglio nemmeno imporre loro le mie convinzioni. Vorrei una società in cui sia gli uni che gli altri abbiano l’opportunità di provare a convincere della propria posizione senza essere messi al bando per aver tentato di farlo.

Quindi, mentre sono contento del ribaltamento della sentenza Roe vs. Wade, non ho toni trionfalistici nei confronti dei sostenitori dell’aborto. Infatti, ora si sentono attaccati e più spaventati, quindi a priori per loro non è tanto facile ascoltare le ragioni della posizione opposta.
Io invece vorrei dialogare con loro, cercare di convincerli, non batterli a proposito di una votazione che oggi ho vinto, ma che potrei perdere domani.
E ovviamente sono anche disposto ad ascoltare le argomentazioni dell’altro senza squalifiche personali, rispettando le persone che non la pensano come me. Forse, in questo modo, si progredirebbe davvero nel dibattito.

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